Claudio Morales nella terra dei cannibali

Intervista al protagonista degli ultimi film di Bruno Mattei
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«Bob, stop smirking! It will show!» («Bob, smettila di sogghignare! Si vedrà nel video!»). Così il cameraman ammonisce il sadico fotoreporter Bob Manson, che gongola vistosamente prima di registrare un enfatico commento davanti a una donna india impalata. Esattamente come nel prototipo Cannibal Holocaust, anche in Cannibal World (a.k.a. Mondo cannibale) il raccapricciante spettacolo è stato creato ad arte da un gruppo di sedicenti giornalisti. Lo spiritato Manson ha lo sguardo dell’attore-modello Claudio Morales, protagonista anche di Land of Death (Nella terra dei cannibali), secondo film del dittico cannibalico di Bruno Mattei, realizzato nel 2004 nelle Filippine in vista di una distribuzione rigorosamente straight-to-video. Sempre sotto la guida dell’anziano ma implacabile regista romano, nel 2005 Morales è stato protagonista di un ulteriore dittico filippino, stavolta dalle tinte softcore, composto da Orient Escape e A Shudder on the Skin. Abbiamo intervistato Morales, che da Pagsanjan si è spostato inopinatamente a Monza, in occasione della realizzazione dei contenuti extra di un cofanetto di prossima uscita, edito dall’etichetta Visual Vengeance e curato da Eugenio Ercolani, dedicato ai succitati cannibal movies. Ecco quindi un resoconto della sanguinaria e prolifica escursione filippina, patrocinata dal produttore Gianni Paolucci, indispensabile mecenate dell’ultimo Mattei, che ultimamente ha messo in cantiere un semi-sequel che si prospetta un’apoteosi fusion: Emanuelle – Land of Death, diretto da Dario Germani. Protagonista, un redivivo Morales.

Claudio, cominciamo con una precisazione sul tuo nome.
Morales è il cognome di mia madre, che è di origine spagnola. Il mio cognome reale è Vitale. Sono nato a Roma, cresciuto a Napoli, e in seguito ho acquisito Morales come cognome d’arte…

… che per dei film dal sapore internazionale come quelli che Mattei e Paolucci volevano fare, era sicuramente più spendibile. Come cominci la tua carriera di attore?
Ho iniziato come modello a Milano, poi ho studiato recitazione a Roma con Gianni Diotaiuti. Da lì sono entrato in un’agenzia e ho cominciato a partecipare a dei casting per il cinema e la pubblicità, oltre a lavorare come attore per i fotoromanzi Lancio e Grand Hotel.

E come sei arrivato ai film di Bruno Mattei?
Il mio primo contatto con Mattei penso che sia stato tramite agenzia, poi ho cominciato ad avere rapporti diretti con la casa di produzione di Paolucci, La Perla Nera.

Cosa sapevi della carriera precedente di Mattei?
A dire il vero mi sono documentato in seguito, non lo conoscevo prima di cominciare a lavorare con lui. So che usava vari pseudonimi, tra cui Vincent Dawn, che è quello che ha scelto anche per Cannibal World, mentre in Land of Death si è firmato Martin Miller.

Ma per quanto riguarda questi due film, che tipo di attori cercavano Paolucci e Mattei? Qualcuno che sapesse le lingue, che fosse disponibile a spostarsi?
Per Land fo Death, penso che cercassero qualcuno che fosse un po’ simile all’attore che in Cannibal Holocaust interpreta la guida [NdR: Salvatore Basile] nella foresta amazzonica, un napoletano che aveva avuto una carriera in Colombia. Ho ricordi vaghi, però all’inizio gli ero sembrato troppo giovane per il ruolo da protagonista, quindi mi avevano proposto un ruolo diverso. Intanto però erano rimasti colpito dalla mia presunta somiglianza con Antonio Banderas, e alla fine hanno deciso di affidarmi comunque la parte da protagonista, invecchiandomi col trucco e facendomi crescere la barba per farmi sembrare più simile a quell’attore di Cannibal Holocaust.

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Qual è stato girato per primo tra Land of Death e Cannibal World?
Prima di sicuro Land of Death, poi subito dopo hanno fatto Cannibal World, mantenendo come attori soltanto me e Cindy Matic, il resto del cast era tutto diverso.

Il genere cannibalico affascinava Mattei, oppure lo considerava solo uno tra i tanti che ha affrontato?
Lui aveva una predisposizione per il cinema di genere tout court, e il cannibal movie rientrava sicuramente nelle sue corde. Il suo film di riferimento era Cannibal Holocaust di Deodato, anche se per il resto prendeva spunto dalle situazioni o dai dialoghi di svariati blockbuster americani, come Alien, addirittura.

A suo tempo Mattei, aveva dichiarato di aver preferito fare Land of Death, rispetto a Cannibal World, perché era tutto impostato sull’azione e la sceneggiatura non perdeva tempo con gli “spiegoni” sulle motivazioni dei personaggi.

Sì, in Land of Death il mio personaggio, Romero (o Ramiro?) era del tutto lineare: una guida della foresta amazzonica molto esperta e cinica, il più “cazzuto” di tutti in questo commando di militari americani che devono liberare la figlia di un senatore rapita dai cannibali [Cindy Matic, ndr]. In Cannibal World, Bob Manson – che è un fotoreporter senza scrupoli – aveva sicuramente una personalità più sfaccettata. Inizialmente sembrava aver avuto una sorta di redenzione (si era rifugiato nella foresta amazzonica perché era stanco di cercare la notizia a tutti i costi), poi però diventa un assassino e un violentatore quando viene ingaggiato da Grace Forsythe per questa spedizione alla ricerca di uno scoop sui cannibali. Quindi, a livello di recitazione, c’è stato un lavoro di introspezione maggiore con questo personaggio di Manson.

Come si comportava Mattei con gli attori?
Era abbastanza duro. Fuori dal set era una persona tranquillissima, squisita, intelligente e anche di una certa cultura. Sul set si trasformava: aveva sempre una sigaretta in mano che fumava in maniera nervosa, finché non scattava. Dava delle indicazioni, sì, ma non più di tanto: dovevi essere tu bravo a capire e a interpretare il personaggio. Con me comunque ha avuto un buon rapporto, mentre con gli altri spesso gridava, a volte li offendeva pure, come con Lou Randall (Lorenzo Renzi). Lo chiamava “bamboccione”, “Mastro Lindo”, “rincoglionito”, tutto questo spesso gridando. Con me questo non succedeva, probabilmente perché non gli dispiacevo troppo come attore: aveva intravisto delle potenzialità, e ho avuto anche l’appoggio di Luigi Ciccarese, che era il direttore della fotografia, che mi ha aiutato soprattutto per le scene d’azione. Secondo Mattei avevo una faccia che bucava lo schermo, rispetto ad altri attori con cui aveva lavorato in passato… sicuramente non parlava bene di Antonio Zequila, con cui aveva fatto diversi film. Ogni qual volta voleva fare riferimento – sul set o fuori dal set – a una recitazione scarsa, citava proprio lui.

Con le comparse come faceva? Immagino ci fossero anche problemi di comprensione della lingua.
Mattei non parlava bene l’inglese, quindi c’era sempre qualcuno che faceva da filtro, come lo stesso Paolucci, che era presente spesso. Visto che se la cavava abbastanza bene con la lingue, riusciva a comunicare con le comparse. Comunque Bruno metteva sicuramente sotto pressione tanto loro quanto gli attori.

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A te faceva effetto essere coinvolto nelle situazioni estreme mostrate dai film? Capisco che da una prospettiva interna potesse essere anche divertente realizzarle, però…
Io le vedevo in maniera distaccata, perché assistevo alla preparazione degli effetti – diciamo – speciali: sangue, cervella, interiora… poi, rivedendo le scene in seguito, mi sono reso conto che potevano risultare parecchio forti, per uno spettatore medio. Girandole in prima persona, non mi avevano fatto effetto lì sul momento, poi ho capito che potevano turbare qualcuno. L’unica cosa che lì per lì mi ha colpito in negativo è stata la reale uccisione di alcuni animali, come un varano [in Cannibal World, ndr] e un maialino [in Land of Death, ndr] che sono stati uccisi davvero davanti ai miei occhi…

Però non eri tu materialmente l’assassino.
No assolutamente! È stata questa guida filippina che aveva la freddezza di uccidere queste povere bestie. Ricordo che mi è pure arrivato addosso qualche schizzo di sangue del varano trafitto… quello non è stato per niente piacevole: è l’unica cosa che mi ha davvero destabilizzato, essendo un amante degli animali.

Ma tu avevi idea di quali fossero gli ingredienti del genere cannibalico?
Non proprio, di sicuro mi ricordavo del clamore creato da Cannibal Holocaust, che era vietato ai minori di 18 anni… io nel 1980 ero troppo piccolo per guardarlo, però me ne parlava mia sorella e vedevo i manifesti per le strade di Napoli.

I due film di Mattei sono stati girati nelle Filippine: quanto siete rimasti lì? Quale rapporto si è instaurato tra i membri del cast?
Il primo anno sono stato di sicuro più di un mese. Con il resto del cast c’è stato un bel rapporto, un buon feeling soprattutto con Lorenzo Renzi/Lou Randall. Poi ho avuto una breve storia con un’attrice di Land of Death, Ydalia Suarez… la cosa particolare è che di lei si era invaghito in maniera platonica lo stesso Mattei, e lui era l’unico che non era al corrente di questo flirt. Spesso mi trovavo in camera di Ydalia e lui veniva a salutarla, portandole un fiore o un regalino, allora io mi dovevo nascondere nel bagno o nell’armadio, come nei film di Lino Banfi. Lui lo ha saputo dopo e me l’ha fatta pagare nei film successivi, quelli erotici che abbiamo girato l’anno dopo. Mi ha fatto fare una scena con un’attrice trans e quella è stata l’unica volta in cui ho avuto uno screzio con lui sul set, tanto che me ne sono andato, perché lui voleva che io baciassi questa trans, ma a me dava fastidio un contatto troppo stretto… quindi quelli della troupe mi hanno detto che è stato il suo modo di vendicarsi, anche se penso che comunque fosse un’esigenza di scena.

In Cannibal World l’attrice con cui condividi più scene è invece Helena Wagner
Mi ricordo solo che aveva un accento toscano, ho provato a cercarla su tutti i social ma è l’unica del cast che ho completamente perso di vista: sono ancora in contatto con Lou Randall, Cindy Matic, Ydalia Suarez, che hanno quasi tutti continuato a lavorare nel mondo dello spettacolo, tranne Cindy, che si è sposata. Helena evidentemente non ha fatto più nulla in questo campo.

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Lo scenografo Claudio Cosentino ha spiegato che buona parte dei due cannibalici è stata girata nei terreni vicini al Rapids Hotel di Pagsanjan, costruito appositamente per la troupe di Apocalypse Now. Quegli stessi terreni, che erano lasciati allo stato selvatico, sono stati utili anche per altri film di Mattei, come The Tomb o i suoi ultimi due zombie movie. Com’era girare in quell’area?
Non è stato semplice, dovevo fare scene in cui mi gettavo in fiumi o in laghi, e avevo sempre paura di quello che poteva esserci dentro. Ho visto comparse che si sono gettate da cascate molto alte… non so cosa sarebbe capitato se qualcuno si fosse fatto male, visto che non c’erano molte misure di sicurezza. Abbiamo girato in condizioni estreme, con sveglia molto presto alla mattina, poi di notte dormivo pure poco. Anche se era una giungla “turistica”, quella in cui abbiamo girato, c’era sempre la paura che ci potesse essere qualche animale pericoloso. In Land of Death mi ricordo che mi avevano morso alcuni insettini nascosti sul tronco delle palme e mi era venuto un eritema su tutto il corpo, quindi ho dovuto girare nonostante questi problemi. Tutto considerato, è stata un’esperienza utile, perché mi sono detto: se sono riuscito a recitare in queste condizioni, tutto quello che farò dopo sarà una passeggiata!

Mattei, che aveva già più di settant’anni, come faceva a fronteggiare questa situazione così pesante?
Lui aveva già qualche acciacco alle gambe, ma era molto lucido sul set. Probabilmente la sua passione e la sua tenacia nel girare gli facevano superare anche il caldo umido delle Filippine… poi lui ormai era abituato, erano anni che girava lì, sapeva a cosa andava incontro. Paolucci e Mattei si erano fatti tutta una rete di contatti, tra attori e agenzie locali, e sapevano come ottenere i permessi dalle autorità locali, anche perché era tutto molto più easy rispetto all’Italia, oltre che meno costoso. Potevano fare, tra virgolette, tutto quello che volevano.

Anche con le comparse, immagino…
Sì, in Italia figurati se una comparsa poteva girare mezza nuda o mettersi in bocca interiora di animali… sicuramente erano facilitati dalla disponibilità dei filippini, che potevano essere spacciati tranquillamente per degli indios dell’Amazzonia e che si prestavano a fare degli stunt molto pericolosi, come quello della cascata. C’è meno controllo lì, quindi Paolucci e Mattei sapevano di poter chiedere alle comparse delle cose che non avrebbero mai chiesto a degli italiani.

Invece qualche aneddoto riguardo agli effetti speciali, che hanno un ruolo importante in entrambi i cannibalici?
C’era un truccatore che aveva lavorato parecchio a Cinecittà [Pino Ferranti, ndr] il quale ricostruiva le ferite col lattice e con la gomma… purtroppo per le scene in cui i cannibali mangiano le loro vittime usava soprattutto vere interiora di animali. Per una scena di Land of Death io mi sono rifiutato categoricamente di mettere in bocca queste schifezze: a un certo punto lo stregone mi passa queste budella da mangiare e da copione era previsto che io le addentassi, però gli ho fatto cenno con la testa di darle a Lou Randall, che così è stato costretto a farlo al punto mio, tra le sghignazzate della troupe. Anche Bruno si è messo a ridere e ha dato l’okay alla scena, per mia fortuna.

Quella sequenza riprende alla lettera una di Cannibal Holocaust, in cui le donne della tribù offrono a Robert Kerman un orribile pastone che a loro avviso è una prelibatezza.
Sì, è una citazione molto precisa, ma a Mattei non interessava che i suoi film fossero considerati derivativi o di serie B. È stato uno degli ultimi artigiani del cinema di genere ed è stato sempre fedele e coerente con la sua idea di cinema, che secondo lui non doveva avere delle implicazioni intellettuali. Sicuramente era uno caparbio, aveva affinato una tecnica per realizzare a basso costo dei film e la sua bravura come montatore lo ha aiutato molto.

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Anche Gianni Paolucci riconosce che era molto più bravo nel montaggio che nella messa in scena, e questo è dimostrato anche dalla sua abilità a fondere i materiali di repertorio con quelli girati ex novo.
Infatti in Land of Death mi ricordo dell’immagine di un giaguaro (o di una pantera?) a cui sparo, che in realtà era materiale d’archivio. So che in altri film – tipo uno che riprende il famoso Lo squalo [Cruel Jaws] – Bruno ha usato a piene mani delle riprese preesistenti. Quando girava, sapeva già in anticipo come avrebbe montato e quali scene avrebbe inserito, prendendole da altri film o da materiali di repertorio. Non sempre però ci spiegava queste soluzioni, ma bene o male – rispetto ad altri attori che invece bastonava continuamente – avevo capito il suo modo di lavorare. A parte l’episodio della trans, ci siamo trovati bene e mi sarebbe piaciuto lavorare di nuovo con lui: non mi aspettavo che morisse dopo così poco tempo, anche se sapevo che era avanti con gli anni.

Nel 2005 avete girato invece i due film erotici di cui mi dicevi…
Anche in questo caso io sono stato l’unico membro del cast che è rimasto per entrambi i film, che sono stati girati uno dopo l’altro. Prima abbiamo fatto Orient Escape, che riguarda una coppia che ha una vita sessuale molto monotona, e – per tentare di ravvivarla – decide di fare un viaggio in Oriente. La storia si intreccia con quella di un’altra coppia e i protagonisti hanno anche rapporti con persone locali, mentre cercano di ritrovare l’intesa perduta. È una trama molto semplice, mentre quella di A Shudder on the Skin è un po’ più articolata. Lì sono il protagonista assoluto, assieme a questa attrice filippina, che mi pare si chiamasse Margarita Milan. Io interpreto un irreprensibile ricercatore medico che va a un congresso in un Paese asiatico e incontra questa tassista molto sexy che gli fa perdere completamente il controllo, lo coinvolge in un vortice di passioni… e anche di perversioni. Credo che alcuni spunti Bruno li abbia presi da 9 settimane e ½.

Paolucci sostiene che Mattei odiasse girare le scene erotiche, e che addirittura gli chiedesse di dirigerle al posto suo dopo averle preparate, prima di uscire per prendersi un caffè…
Non so se le odiasse davvero, ma di sicuro era più a suo agio nel genere splatter-horror: cannibali, zombi etc. Aveva una vena un po’ sadica, però si è dovuto adattare a questo genere, che era anche più semplice da girare rispetto agli action nella giungla. Mattei aveva comunque già alle spalle dei film con una componente erotica, come quelli ambientati nelle prigioni, Violenza in un carcere femminile etc. Ecco, purtroppo Bruno era legato a questo genere violento e allo stesso tempo erotico. Nei film che ho girato io c’era solamente la componente erotica, che era quella che a lui interessava di meno.

Com’è proseguita la tua carriera dopo aver lavorato con Mattei?
Ho continuato a studiare recitazione con Francesca Di Sapio all’Accademia Duse di Roma. Poi ho avuto dei ruoli in  fiction italiane, come Orgoglio e La squadra, girate a Napoli, oltre a essere protagonista di una serie che è andata in onda per il circuito Odeon TV, che si chiama Amori e passioni. Ho avuto vari ruoli in spot pubblicitari, e ultimamente sono stato protagonista di una pubblicità che ha avuto un grande successo su YouTube, realizzata per una ditta che produce sistemi di sicurezza. Interpretavo Diabolik, una parte che avevo già fatto in alcuni fotoromanzi oltre che in varie convention. Secondo molti degli appassionati del fumetto, che in Italia sono tantissimi, sono l’attore italiano che fisicamente si adatta meglio al ruolo, tant’è che il mio agente mi ha candidato per la parte nel film dei Manetti, ma la cosa non ha avuto seguito. Hanno scelto Luca Marinelli, che fisicamente è del tutto inadatto: è magrissimo, ha il naso aquilino, gli occhi tondi. I fan sono stati tutti scontenti e hanno addirittura fatto una petizione per avermi al suo posto! Purtroppo in Italia, rispetto al cinema americano, c’è questo brutto vizio di prendere degli attori, magari anche bravi, che però non c’entrano niente con l’aspetto dei personaggi dei comics che devono interpretare e che non si preparano per aderire fisicamente. Il risultato è ridicolo, sempre.