Ether
Il vecchio, abusato adagio less is more, se interpretato come un generico rifuggire la complessità risulta grossolano. Certo, i barocchismi inutili generano mappazzoni inutili nel migliore dei casi, quando non mattoni indigeribili tout court, ma con l’adeguata padronanza del mezzo si possono realizzare opere incredibili e complicate, belle da leggere e da rileggere.
Se parliamo di Matt Kindt (Revolver, Mind MGMT) e David Rubin (L’Eroe, Beowulf), sapere il fatto proprio è ovviamente fuori discussione e, in termini di ricchezza, i due autori a modo proprio ne fanno una vera e propria cifra stilistica con opere che, per essere esplorate completamente, si prestano, pur senza obbligare, a seconde e terze letture. La sinergia prometteva bene, il risultato mantiene le promesse. Ether è un’opera massimalista, scritta con l’acceleratore dell’high concept schiacciato a tavoletta pur senza trascurare la caratterizzazione dei personaggi che, rivelandosi nel corso di una trama articolata, arrivano a farsi amare alla grande nonostante, in prima battuta, un mondo fantastico ad alto impatto e senza mezzi termini per inventiva possa disorientare un poco il lettore che si approccia all’opera meno che attento e motivato.
Rubìn, come sempre, è eroina per gli occhi. Grande sotto tutti gli aspetti. Costruzione della tavola, colore, tratto, dinamismo, non gli riesce proprio di sbagliarne una, e per un’ambientazione niente affatto semplice come quella creata da Matt Kindt non ci voleva nulla di meno. La dimensione aliena e le creature che la popolano sono tratteggiate in modo da riuscire a raccapezzarsi pur senza perdere il sense on wonder che trasuda da ogni pagina.
Lessi is more, but more is even more.