The Cuban Hamlet. Storia di Tomas Milian
Quando lo osserviamo sorridere nei film o nelle foto di scena, che sul suo viso vi sia il ghigno ribelle di Cuchillo, la smorfia di Monnezza o di Nico Giraldi, il riso matto di Provvidenza, il ghigno terribile di Giulio Sacchi o dei mille altri personaggi che ha interpretato (a volte ben oltre il limite del semplice travestimento), abbiamo ormai la sensazione di conoscere bene Tomas Milian. Ci è sembrato che un’intervista su Nocturno, un articolo ben fatto, o anche il semplice aver visto tutti i suoi film, aver ascoltato attentamente la sua vera voce (ma può essere vera la voce di un attore?), conoscere gli eventi drammatici della sua vita privata, ci è sembrato che tutto ciò bastasse per conoscerlo davvero. Coloro che amano credono di conoscere a fondo e meglio di tutti l’oggetto del loro amore. E che Milian sia stato uno degli attori più amati dal pubblico italiano è innegabile. Un culto, inoltre, per il suo personaggio Monnezza in particolare, che ha reso tributo a una maschera vera e propria, di potenza e verità pari, negli ultimi quarantanni solo al Fantozzi di Villaggio, anch’esso nato cinematograficamente intorno alla metà degli anni Settanta. Ma davvero sappiamo chi sia stato Tomas Milian? La sua morte, il 22 marzo di quest’anno, ha reso inevitabile una riflessione su questo attore unico. Questo cofanetto di Giuseppe Sansonna dal titolo The Cuban Hamlet. Storia di Tomas Milian edito da Timìa edizioni, a luglio 2017, contenente un DVD con il documentario omonimo e un libro (un denso testo di 200 pagine) ce ne dà l’occasione. Pur non potendo dire l’ultima parola su Milian, dà modo di vedere la sua vita e il suo cinema da una prospettiva diversa.
Giuseppe Sansonna è conosciuto ai più per due straordinari documentari su Zeman pubblicati da Minimum Fax. Qui non delude le aspettative create da quel grande lavoro. È difficile dire quale dei due sia più prezioso, se il documentario o il libro. Il film che Sansonna ha girato nel 2015 è commovente, intenso e dolcemente malinconico. Tomas ritorna a Cuba, la sua patria d’origine, dopo decenni di assenza, insieme al regista, che l’ha convinto dopo estenuanti tentativi. Milian amava e odiava Cuba e l’abbandonò per il sogno di recitare nel cinema. Questo è un documento unico, ricco di poesia, rara occasione per conoscere il lato più fragile, dolce e intimo di Milian. Il libro è altrettanto pieno di storie, emozioni, drammi, forse ancora più importante per un ritratto delle mille facce di Tomas. A differenza del fondamentale Monnezza amore mio (autobiografia attesa per anni e anni che Milian pubblicò finalmente nel 2014 per Rizzoli dopo una preparazione senza fine con Manlio Gomarasca) qui la voce dell’attore non è sola. Non c’è solo l’attore che ricorda: questo libro è una sorta di grande reportage, di viaggio alla ricerca di Tomas Milian (e anche di tanti personaggi che di lui possono dire cose utilissime come Laura Betti, Nino Castelnuovo, Quinto Gambi o Giulio Questi). Sansonna chiede, suggerisce e talvolta provoca (ma sempre intelligentemente e sempre il suo interlocutore accetta di andare a fondo anche nei fatti più drammatici e privati). E l’autore dimostra di saper scrivere pagine toccanti e perfette.
Sansonna incontra Milian a Miami proprio nei mesi in cui il suo libro autobiografico stava per essere finalmente chiuso. E della sua autobiografia questo The Cuban Hamlet può essere visto come un lato B, una versione alternativa, in cui Tomas parla di tutto, approfonditamente, del padre ex ufficiale dell’esercito sconfitto da Batista e per questo distrutto psicologicamente, malato di depressione e violento; dei ricordi d’infanzia; della sua vita da ragazzo ricco e viziato nel quartiere Vedado (il quartiere esclusivo di Cuba, letteralmente “vietato”) e del suo ricordo primario, terribile e incancellabile: il suicidio del padre a cui assistette dodicenne e che lo cambiò per sempre ma che forse, segretamente, lavorò dentro di lui esplodendo in cinquantanni di interpretazioni intensissime e indimenticabili. E poi dell’ingresso, primo latino, all’Actor’s Studio, degli anni di stenti in U.S.A., dei primi lavori in TV e poi dell’esordio in Italia al Festival dei due mondi di Spoleto e delle offerte sempre più numerose dei produttori della penisola che lo trattennero a Roma, città che amò e in cui visse per più di trentanni. E dei film d’autore, di Visconti, dei western, dei polizieschi e dei Monnezza. Del suo “film americano” che sempre cercò e forse mai trovò davvero se non in Traffic di Steven Soderbergh.
È inevitabile che alcuni aneddoti, alcune delle storie più divertenti o al contrario più drammatiche siano comuni al libro scritto con Gomarasca. Ma questo libro ne è come dicevo un’“alternate take”, un arrangiamento diverso, una versione a volte estesa e più ricca. C’è poi un ulteriore elemento non secondario che aggiunge valore a questo libro. Sansonna ama molto il cinema di Milian ma non nasconde di non amare tutto il cinema di Milian. Ciò dà al dialogo tra di loro una tensione che permette di esplorare il rimosso e l’irrisolto in un uomo e in una carriera assolutamente imprevedibile e unica. Questo libro potrebbe fare arrabbiare qualche fan integralista ma ritengo sia un’opera assolutamente necessaria per chiunque voglia tentare di capire, oltre che amare, l’attore più celebre del cinema di genere italiano e forse, paradossalmente, il più sconosciuto.