Francesca
2015
Francesca è un film del 2015, diretto da Luciano e Nicolas Onetti.
Dopo Sonno profondo (Deep sleep, 2013), che li ha portati all’attenzione della critica internazionale, i fratelli argentini Luciano e Nicolas Onetti tornano con un nuovo thriller, Francesca (Argentina, 2015), presentato in anteprima mondiale nell’illustre Festival di Sitges. Il neo-giallo, quel filone che rielabora i canoni del thriller italiano anni Settanta (Dario Argento ma non solo), non è in realtà un genere uniforme, visto che ogni autore lo affronta a modo suo: il cinema dei fratelli Onetti è sicuramente fra i più singolari ed efficaci che possiamo vedere oggi, e se non sapessimo trattarsi di film prodotti adesso, potremmo tranquillamente ritenerli pellicole emerse dai meandri oscuri dei nostri Seventies, talmente certosina è la riproduzione di fotografia, costumi e scenografie (persino la grafica dei titoli) – un’immagine vintage, non nel senso tarantiniano di “grindhouse” ma realizzata in modo encomiabile nello stile dell’epoca, il che indica una profonda conoscenza del genere. Come nella precedente opera, Nicolas produce mentre Luciano scrive la sceneggiatura (insieme al fratello) e dirige: nasce così Francesca, un bellissimo thriller, una gioia per gli occhi e per gli amanti del buon vecchio giallo, girato in lingua italiana a testimonianza di uno stretto legame col nostro cinema; se Sonno profondo era volutamente più sperimentale ed ermetico, qui la regia continua nel suo stile peculiare ma introduce una trama da vero giallo, con tutti i canoni e i crismi del genere, ricco di dialoghi e con un assassino da individuare. Girato in Argentina, l’ambientazione intradiegetica è però una cittadina italiana: i detective Bruno Moretti (Luis Emilio Rodriguez) e Benito Succo (Gustavo D’Alessandro) devono indagare su una serie di feroci delitti compiuti seguendo alcuni passi della Divina Commedia di Dante – i cadaveri sono ritrovati accompagnati da lettere con versi del poema e due monete sugli occhi. Moretti sospetta che ci sia un collegamento con un fatto accaduto 15 anni prima, quando la piccola Francesca, figlia del drammaturgo Vittorio Visconti (Raul Gederlini), fu rapita e scomparve nel nulla. Ora il Visconti vive paralizzato insieme alla moglie Nina (Silvina Grippaldi), caduta in depressione, ed è proprio da loro che i detective iniziano le indagini.
Francesca segue gli stilemi classici del whodunit, dunque gli omicidi rituali, gli indizi, la polizia che brancola nel buio, un mistero nascosto nel passato, i traumi. E lo fa mettendo in scena una serie di elementi stilistici e narrativi che richiamano la cosmogonia argentiana ma non solo (possiamo trovare tracce anche di Sergio Martino, Lamberto Bava e di quel gioiello che è Mio caro assassino di Tonino Valerii), volendo essere esplicitamente un film ricco di citazioni e omaggi; Onetti va pure oltre il thriller italiano, per riprendere influenze dall’Hitchcock di Psycho e da Brian De Palma. L’influenza di Tenebre, con l’eliminazione dei “corruttori”, è evidente, ma il regista inserisce un modus operandi mai visto prima – gli omicidi “danteschi” come contrappasso per i peccatori, inserendo anche riferimenti colti quali la storia di Paolo e Francesca o le monete sugli occhi come obolo per Caronte. Molto accurati i costumi e le scenografie, tutto squisitamente vintage e ripreso con una fotografia anni Settanta (diretta da Luciano Onetti) con i colori saturi e qualche luce primaria – guanti di pelle rossi o neri, bambole, manichini, lame, macchine fotografiche e telefoni. Che il regista sia sulla strada giusta lo capiamo già dalla prima sequenza: una bambina (la Francesca del titolo) si diverte a infilzare un uccello con uno spillone (erede di quanto Nicoletta Elmi faceva in Profondo rosso con le lucertole) – immagini inframmezzate dal volo epifanico su sfondo nero del medesimo volatile – per poi utilizzare la stessa arma ai danni del fratellino neonato, al quale trafigge un occhio sotto lo sguardo terrorizzato della madre – Silvina Grippaldi, bravissima attrice all’esordio e autrice di una performance drammatica e partecipata.
Questa scena è emblematica di come sarà il film, cioè crudele, macabro, inquietante – non un semplice esercizio di stile, perché Francesca sa creare suspense e in certi momenti anche risultare spaventoso: la registrazione dei versi danteschi (“Per me si va ne la città dolente”) su un magnetofono che accompagna omicidi e ricordi crea un’atmosfera da brividi grazie alla voce profonda e sepolcrale, la suspense degli omicidi è tangibile, così come tosta è la sequenza post-titoli di coda, con una ragazza torturata e inquadrature in Super8; da brividi anche la bambola che accompagna i delitti e che ripete ossessivamente “Mamma ha voglia di giocare con te”, come pure la sagoma dell’assassino – non il solito con impermeabile nero ma una strana figura femminile dal cappotto rosso. L’atmosfera è perturbante e morbosa, ricca di sequenze oniriche (le bambole impiccate, il vecchio pedofilo) e con una perversione sottaciuta che sfocia prima nelle diapositive dell’assassino ritraenti amplessi sadomaso e poi nel doppio finale (la necrofilia del cadavere mummificato e la tortura alla ragazza, con la lama che si avvicina al pube). Regia e sceneggiatura sono equilibrate, unendo una solida storia ricca di misteri a delitti coreografati da puro thriller: lo spillone è l’arma preferita dal killer, che perfora in bocca la prima vittima e in un orecchio la giovane uccisa nel confessionale, ma notevoli sono anche le sequenze meno sanguinarie – l’anziana testimone colpita con un ferro da stiro rovente e poi strangolata, Succo avvelenato con una mela e il pianista sgozzato in campo lungo dopo un ansiogeno pedinamento in teatro. Da buon conoscitore del genere, Luciano Onetti compone una colonna sonora magnetica, quasi ipnotica in certi momenti, con suoni psichedelici e percussioni ossessive in stile Goblin.