Fringe
Fringe paga lo scotto di nascere dopo i capisaldi della narrativa per immagini contemporanea, ma si eleva di una spanna al di sopra di tanta TV spazzatura…
Ricordate cosa successe tempo fa quando quasi in concomitanza uscirono The Prestige e The Illusionist? Il primo, capolavoro teoretico di Cristopher Nolan, era una guerra di maghi che nascondeva un intenso quanto lucido pamphlet sulla dualità bene/male e realtà/illusione; che inevitabilmente oscurò la bellezza del secondo, con l’onesta regia di Neil Burger, storia d’amore tragica ed intensa ambientata in una nebbiosa Vienna di inizio secolo. Storia che, per quanto ben raccontata ed emozionante, nulla poteva contro l’abissale profondità di pensiero del primo.
Ecco cosa è successo con Lost: il serial, che definire di culto sarebbe riduttivo se non un insulto, ha riscritto non solo la grammatica televisiva quanto l’immaginario collettivo, innestando nel suo tessuto scienza, filosofia, religione, occultismo, parapsicologia, per creare una cattedrale maestosa quanto irraggiungibile. Inevitabile che ogni altra cosa del suo creatore passi in secondo piano: dal pur riuscito (ma buttato via nell’ultima, importante stagione) Alias, fino ai vari Cloverfield e Star Trek per il grande schermo, per arrivare a Fringe. Ed ecco il punto: Fringe è una via di mezzo fra la complessa struttura narrativa a livelli di Lost e l’attrazione gravitazionale per il paranormale di X-Files, senza però essere pietra angolare come il primo né specchio dei tempi come il secondo. Insomma paga lo scotto di nascere dopo questi capisaldi della narrativa per immagini contemporanea, passando quasi inosservato nel mare magnum della tv, mentre invece si eleva di almeno una spanna da tanta spazzatura presente nei palinsesti.
Fringe è la storia dell’agente FBI Olivia Danham (una bravissima Anna Torv), inizialmente impiegata per risolvere il mistero di un volo aereo finito misteriosamente in tragedia (ecco Lost che si affaccia timidamente….), per poi scoprire che quello non era altro che l’inizio di un arazzo iniziato ad essere intessuto anni prima e destinato a comprendere l’invasione della nostra Terra da parte di misteriosi alieni. La trama si infittisce episodio dopo episodio, e prende il volo circa verso il nono episodio (The Dreamscape) della prima stagione, quando la trama verticale si innesta in quella orizzontale; fino a diventare elettrizzante attesa per ogni nuova puntata dopo il primo finale di stagione (There’s More Than One Of Everything), quando il quadro della situazione si fa un po’ più chiaro e finalmente capiamo che i 20 episodi a cui abbiamo appena assistito non sono (come in Lost…) che l’inizio di una storia ancora da raccontare. È qui probabilmente il limite e la forza del serial, come detto sopra: non dire niente di nuovo, ma dirlo con una forza e un’intelligenza non comuni.
C’è un po’ di tutto, dall’ipotesi di complotto all’invasione aliena, dagli indizi impercettibile che ad Abrams piace disseminare qua e là (stavolta sono i “glifi”: date un’occhiata ai poster teaser della seconda e terza stagione…) fino a idee e personaggi presi in prestito dai fumetti (se l’Osservatore non vi dice niente, rileggetevi I Fantastici Quattro). Senza contare la resta straordinaria degli effetti speciali,la sapiente gradazione di ogni ingrediente, e l’attenta costruzione dei caratteri che conta soprattutto uno scienziato pazzo originale e godibile come non se ne vedevano da tanto, troppo tempo, quel dott. Walter Bishop che ha le fattezze di un incredibile John Noble, capace di passare dal sorriso al pianto in un tremore di palpebra. Certo, come le cose di J.J. Abrams, Fringe ha il difetto ad un certo punto di attorcigliarsi su se stesso fino a diventare comprensibile solo agli iniziati che hanno intrapreso il viaggio fin dall’inizio: ma credete sulla parole, è un viaggio che vale la pena fare.