Ghostbusters: Legacy
2021
Ghostbusters: Legacy è un film del 2021, diretto da Jason Reitman.
Il dubbio che si pone davanti alla visione di Ghostbusters: Legacy (ma il titolo originale recita Afterlife), più se considerarlo un Ghostbusters 3 o un reboot dell’originale, è il seguente: si può rifondare un mito? Perché questo è il punto dell’opera di Jason Reitman, figlio di Ivan Reitman regista del film del 1984, che esegue un passaggio di testimone famigliare, sia dentro che fuori dallo schermo. Trentasette anni dopo Ghostbusters ricomincia da un gruppo di ragazzi. Sono Trevor e Phoebe, fratello e sorella che, insieme alla mamma Callie, dopo lo sfratto si trasferiscono in una casa di campagna diroccata a seguito della morte del nonno, che non hanno mai conosciuto. Un nonno spooky, strano e solitario, eremita da decenni. Chi era costui? Non serve una particolare memoria cinematografica, né conoscere la scomparsa di uno degli attori nel 2014, per fare due più due. E nel lugubre capanno c’è una strana tuta col nome Spengler…
Il regista chiede di evitare spoiler, ed ecco che si torna al punto principale: il mito. Il film si inserisce fluidamente nella rievocazione degli anni Ottanta, che va tanto di moda (anche troppo), sin dalle prime immagini e soprattutto nella scelta del giovane protagonista: Finn Wolfhard nella parte di Trevor, ovvero il Mike di Stranger Things, la serie che ha aperto il vaso di Pandora sulla tematizzazione degli eighties e l’ha eseguita nel migliore modo possibile. Evocando non i “veri” anni Ottanta, ma il loro immaginario, la messa in narrativa, come ci piace raccontare che furono. In modo simile Reitman cerca di assemblare un “Ghostbusters state of mind”, ossia un umore, una disposizione interiore che riporti al 1984. Da una parte c’è una ridda di citazioni, che va da Cujo a La bambola assassina e tocca perfino Velluto blu; dall’altra c’è il lavoro sugli oggetti e i feticci dell’epoca, che si rivela la parte più interessante di questa seduta spiritica. Più che nelle altre ricostruzioni serial-cinematografiche, qui le “cose” degli anni Ottanta si toccano: i diner ritornano, la chincaglieria è materica, anche gli snack sono tangibili, compresi i loro rimasugli perché parliamo di un’operazione di retroguardia. Gli acchiappafantasmi di ieri oggi sono inevitabilmente “vecchi”, se non addirittura svaniti. Nessuno sa cosa siano quei ninnoli, a cosa servono le trappole: la mitologia dormiente sarà risvegliata dalle nuove generazioni.
Il problema è che la prima parte di Ghostbusters: Legacy viene impostata come un lungo teen movie: i ragazzi scoprono la casa, trovano cose, prendono coscienza, eccetera. Un teen come tanti. Quando – troppo tardi – appare il primo ghostbuster gli applausi in sala sono anche di liberazione: dopo oltre un’ora di coming of age dei nuovi acchiappafantasmi che somiglia a un piccolo brivido di R. L. Stine piuttosto che ai geni che fecero l’originale. Poi certo, torna Gozer il gozeriano, il Mastro di Chiavi e il Guardia di Porta. Il racconto gioca sornione sul rifare le stesse sequenze, con piccole ma decisive variazioni: la migliore è la ri-forma dell’Uomo dei Marshmallow, che si moltiplica e da gigante diventa infinitamente piccolo, più simile a Chucky che a se stesso. Ma siamo nei dintorni dello scherzo. Il film acquista senso negli ultimi minuti e compone un sentito omaggio metacinematografico, nei confronti di un acchiappafantasmi che “diventa” fantasma: l’attore scomparso resuscita in forma digitale e offre uno sguardo sulle possibilità del cinema, sulla capacità della lanterna magica di mostrare oltre la morte. Ma il più è già stato detto e fatto: i nerd possono cercare i loro easter eggs, per gli altri rifondare il mito non è stato possibile.