La grande abbuffata
1973
La grande abbuffata è un film del 1975, diretto da Marco Ferreri.
Grandezza di un regista quale era Marco Ferreri: in una manciata di minuti riesce a tratteggiare perfettamente le monotone traiettorie esistenziali e lavorative dei quattro protagonisti: Ugo Tognazzi, chef e proprietario del ristorante “Le Biscuit a Soup”, incompreso dalla moglie; Michel Piccoli, un presentatore televisivo latamente effeminato, ormai divorziato e stanco della mondanità che lo circonda; Marcello Mastroianni, pilota dell’Alitalia, affetto da priapismo, Philippe Noiret, un magistrato che vive ancora insieme alla sua balia d’infanzia Nicole, succube, ora come allora, del mood materno di questa e del suo rassicurante seno. I 4 dell’apocalisse culinaria si riuniscono formalmente in una villa vicino Parigi (reale dimora del poeta Boileau, autore di un indicato aforisma quale: «Filosofi sognatori e nemici di Bacco che credete di sapere tutto, rientrate in voi stessi e non rimanete dei presuntuosi! Andate ad imparare a bere, vecchi pazzi, perché si è sapienti quando si beve bene, come non sa niente chi non sa bere.»); l’occasione è un weekend definito quale “seminario gastronomico”: in realtà trattasi di consapevole ed edonista ultima escursione su questo pianeta. E quale corollario più appagante per gli ultimi appetiti, alimentari e sessuali, se non cibo a volontà e donne disponibili?
Così, ecco sfilare un’imponente parata di alimenti: dalle forme di Parmigiano fatte scaricare dall’aereo di Marcello ai furgoni che depositano in loco maiali, caprioli, faraone, galletti, agnelli, come in un’arca di Noè a dimensione domestica. Tale membrana amniotica consente loro una sincera regressione primordiale, un “recedere in se ipsum” inteso in senso anatomico, esofageo, intestinale, di ambo i tipi crasso e retto. Ferreri quadruplica e reclude il Des Esseintes di Huysmans in questa villa fatiscente e contamina il suo estetismo decadente con aerofagia, meteorismo, flatulenze. Il “menù del cazzo” decantato dal buon Ugo prevede portate che rimano con porcate, e che hanno loro piena ragion d’essere se gustate in compagnia, nella fattispecie di tre prostitute appositamente assoldate per allietare la serata, alle quali si unisce la giunonica e civettuola maestrina Andrea Ferreol, capitata casualmente con la propria scolaresca per ammirare il tiglio di Boileau che svetta in giardino. «Alzo il mio bicchiere non so a cosa, ma alzo il mio bicchiere» è il brindisi afinalistico di Ugo, ode pantagruelica all’hic et nunc…
La grande abbuffata come manifesto corporeo, corporale e fisiologico: ci sono i corpi dei quattro protagonisti che vengono ripresi in uno stato di progressivo abbrutimento, dovuto alla saturazione alimentare (sebbene Michel tenti con poca convinzione di cimentarsi con degli esercizi ginnici di danza, vago retaggio della “vita precedente” e Marcello nasconda sintomi d’impotenza con un “collettore fallico”), c’è il corpo florido di Andrea, madre-amante-confidente sempre disponibile e con tutti, ci sono i corpi delle tre avventrici, che Michel schiaffeggia e imbratta di crema. Ad un certo punto, quando viene approntata una maestosa pizza provenzale, Andrea domanda loro: «Mangiate tutte le volte così tanto?», e Ugo risponde: «No, questa volta è un’altra cosa»: è un segnale, un prodromo nefasto che fa di Ugo primo alfiere della missione da perseguire; e difatti si rivolge a Michel ricordandogli che: «Se tu non mangi, non puoi morire». Ma la “via crucis” delle pietanze prevede ancora fecola, tortellini alla panna con funghi, purea. Il climax feticista di Marcello trova il suo apice nell’accensione della Bugatti, teatro in lamiera di mangiate e scopate, che consente a lui e Michel una “corsa simulata, da fermi”, come la condizione di Limbo che stanno vivendo, e una corsa breve con la maestra impellicciata in nero, che li condurrà a un confronto tra deretani, quello marmoreo di una statua in giardino e quello giunonico di Andrea medesima, che verrà venerato e degustato poi, in formato cake design, su torta. In un capovolgimento di ruoli, Andrea da ospite diventa padrona di casa e conduce le danze del sesso e del cibo, ingozzandosi anche sul talamo, prima dell’ostinazione copulatoria di Marcello, che non riesce a prenderla da dietro, e allora sbotta ai compagni: «Non si può morire mangiando! è perché siete tre castrati!».