La Nona Configurazione
1980
La Nona Configurazione è un film del 1980, diretto da William Peter Blatty
La Nona Configurazione ha una brutta fama. Si dice che sia un film troppo complesso, verboso e a tratti persino un po’ strambo. A nulla vale a rassicurare gli spettatori il fatto che nel 1981 il regista ci vinse il Golden Globe per la migliore sceneggiatura. E noi confermiamo i timori generali, per carità: l’opera non è facile da capire e di sicuro, come per L’Esorcista III, c’è una evidente indulgenza nei dialoghi, i monologhi cupi e l’impressione generale, come scrisse il critico Domenico Cammarota, è che a Blatty poco importi il cinema come forma d’arte. Per lui i film sono un altro mezzo utile a diffondere il suo messaggio “terribilista” intorno alla fede. È un credente e vuol convincere il mondo che un dio esiste, che l’amore è dio, ma non senza alzare la voce, movimentare l’ambiente con dubbi, urla, sangue e vomito verde pisello.
Per capire a fondo La Nona Configurazione si dovrebbe prima passare per L’Esorcista (il romanzo scritto da Blatty, più che il film poi riconcepito da Friedkin) e il suo seguito del 1990; allora si vivrebbe con familiarità l’anima in dissidio del dottor Kane (Stacy Keach). In fondo è nella stessa tempesta esistenziale di padre Karras e del tenente Kinderman. Tutti nomi che iniziano con K e non dite che sia una bazzecola: per il Gemini Killer di Legion non lo era. E c’è ancora la figura dell’astronauta, presente nel romanzo L’Esorcista e trasformata poi dallo stesso Blatty in un prete nel film. Forse per lui le figure dei gesuiti, rappresentate in modo figo, sono paragonabili agli uomini spaziali e allo stesso tempo ai pazzi. Teniamo presente però che La Nona Configurazione non è una versione shakespeariana di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Qui sono ex-militari affetti da nevrotiche depressioni ma tutto sommato salvabili. L’intento di chiuderli in un castello è discutibile sul piano terapeutico ma suggestivo e funzionale a rendere un dramma ospedaliero disinfettato in un romanzo gotico disinfestato.
Sì, però un gotico con i suoi doccioni, le ombre curiose, le gigantesche statue mietitrici a ogni angolo e i temporali muggenti all’esterno. E la costante sfilata di folli presi dai rispettivi deliri riconduce il cristologico dottor Kane nel baratro di sofferenza da cui cerca di fuggire ma rappresentano un carnevale tra l’avanguardia russa e Broadway. Gli attori presenti sono il fiore dei caratteristi di quegli anni e alcuni fanno parte della famiglia cinematografica blattyana, tipo Jason Miller, Ed Flanders, George DiCenzo. Sono tutti un bel vedere, al di là della selva di chiacchiere che rifilano allo spettatore. Inoltre nel film si sorride, anche. Ci sono momenti piuttosto esileranti, come in tutto quello che Blatty fa e che solitamente vengono ignorati dalla critica o addirittura condannati, come se a lui non fosse permesso fare ironia, date le pesanti tematiche che di solito affronta. Invece il vecchio William concede allo spettatore qualche sghignazzata prima di rituffarlo nella lunga e meritata notte dei miscredenti.