La scomparsa di Alice Creed
2010
Al suo esordio alla regia, J. Blakeson firma un capolavoro di raro rigore stilistico: La scomparsa di Alice Creed è un triangolo di pulsioni represse, destinato tanto ai frequentatori delle sale d’essai quanto ai meno smaliziati cultori del thriller.
Dopo aver insonorizzato un appartamento e approntato un piano (apparentemente) perfetto, Vic e Danny rapiscono Alice, la bella e coraggiosa figlia di un milionario a cui chiedere un ingente riscatto. Purtroppo, però, le cose non vanno come dovrebbero, perché Danny si rivela presto un ragazzo mentalmente instabile che, schiacciato dalla personalità dominante del compagno e segretamente attratto dalla giovane vittima, preferirà seguire i suoi sentimenti piuttosto che le rigide regole di un sequestro. Il rapimento degenera in breve, quando Alice, trovato il modo di far breccia nel suo animo sconvolto, farà di tutto per approfittare della situazione e riguadagnare la tanto agognata libertà.
La scomparsa di Alice Creed non è un film, bensì un circuito sociale a tendenza degenerativa. È la storia di un sequestro di persona, ma è anche e soprattutto un condensato di pulsioni (sessuali e non) represse, desideri strani e cupe ossessioni che per un motivo o per l’altro vengono a galla sottoforma di incubi atroci. Ed è un film essenziale, minimale e minimalista, a suo modo dissanguato da quel coté di orpelli e storie parallele che, intersecandosi tra loro, appesantiscono il plot con artifici ridondanti. Il rapimento, per esempio, narrato in ellissi, altro non è che il portello di un furgone che s’apre e chiude nello spazio di un taglio di montaggio; la detenzione della bella Alice (Gemma Arterton), una stanza spoglia con una figura di donna (nuda perlopiù) ammanettata a un letto e una palla sadomaso ancorata alla bocca; la relazione (omosessuale) tra i due rapitori, tutto un fermento di sguardi tra il geniale Vic (Eddie Marsan) e lo psicolabile Danny (Martin Compston), sguardi grevi, plumbei che acuiscono la tensione, che rendono la claustrofobia dell’insieme a tratti insostenibile, e che con azzeccato gusto del paradosso regalano persino alcuni mai scontati attimi di tenerezza.
La bravura di questo per ora sconosciuto regista britannico, J. Blakeson, esordiente e già sceneggiatore di The Descent 2, sta proprio nell’omissione, nella voluta mancanza di retorica, insomma nella fessura tra quanto succede, fuori campo, da qualche parte oltre lo schermo, e quanto invece è posto dinnanzi all’obiettivo. In questo scarto si gioca l’intera pellicola e, oltre il tragico epilogo con beffardo finale, tutta l’impalcatura narrativa è soltanto la lunga agonia di un rapporto, o meglio di un insieme di rapporti umani, troppo eterogenei per incastrarsi tra loro e funzionare. La camera da letto dove Alice trascorre le sue buie ore diventa allora il macabro palcoscenico per una commedia del grottesco, in cui ogni carattere fa finta di essere qualcun altro, inaugurando una melanconica mascherata destinata a squarciarsi all’apparire del giorno. Alice fa credere di amare Danny, promettendogli di dividere con lui soldi, vita e corpo nel caso egli faccia il doppio gioco con Vic e l’aiuti a districarsi dall’inghippo. Vic subodora qualcosa di sporco, ma è a sua volta innamorato del ragazzo, così i sentimenti gli impediscono di afferrare quanto sta accadendo.
Questi tre bugiardi camuffano per tutto il tempo le loro reali intenzioni, ingannando nient’altro che se stessi, e almeno in una scena si raggiunge la poesia, quando Alice, impossessatasi della pistola durante un malriuscito tentativo di evasione, fa partire un colpo e Danny, per nascondere la situazione al complice, tenta di far sparire il bussolotto senza troppo successo. Prima lo getta nel water ma, pur tirando più volte l’acqua, il proiettile resta sul fondo del gabinetto. Quindi, poiché Vic si è ormai insospettito, ingoia la prova, salvo vomitarla poco dopo e ingoiarla nuovamente.
La scomparsa di Alice Creed è un capolavoro del basso budget, dimostrazione che con pochi soldi si possono ottenere ottimi risultati, sempre che la direzione dei lavori sia affidata a un tecnico competente e sufficientemente istruito in materia. Il film di Blakeson non delude né gli appassionati del thriller né i cultori del cinema d’autore, e si presenta piuttosto come raffinata sintesi tra i due estremi.