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Labbra di lurido blu

1975
Titolo Originale:
Labbra di lurido blu
REGIA:
Giulio Petroni
CAST:
Lisa Gastoni (Elli Alessi)
Corrado Pani (Marco)
Jeremy Kemp (George Stevens)

Il nostro giudizio

Labbra di lurido blu è un film del 1975, diretto da Giulio Petroni.

È famosa la storia del titolo preso in prestito da un verso di Percy B. Shelley, “with lips of lurid blue”, che costò a Giulio Petroni accuse sulla traduzione sballata, visto che “lurid” significa “fosco”. Ma il titolo è bellissimo così, e attrae ancora oggi, accattivante come pochi. Blu. È la dominante cromatica, evidente sia nelle tonalità asfittiche degli interni, opera di Franco Bottari, sia nelle varie sequenze notturne girate in esterno a Perugia, dove la Gastoni si prodiga in scene di autolesione piuttosto scabre (come quella del bar in cui si fa montare sul biliardo da quattro avventori ubriachi). Lurido. I (con)turbamenti dei coniugi Alessi (Lisa Gastoni/Corrado Pani) trovano senso se letti in chiave psicanalitica: tutto parte dal trauma, dal senso di colpa che i due hanno introiettato fin dalla loro infanzia, segnata da gravi turbolenze nella sfera sessuale. Così, in flashback virati in arancione, vediamo prima la Gastoni bambina che spia i genitori mentre fanno l’amore incuranti di lasciare la porta aperta (ahi… la celebre “scena primaria” di Freud), poi un povero Corrado Pani adolescente, che rimane scottato dalle spinte paterne a perdere la verginità con una prostituta grassa e poco sensibile (ma all’epoca si usava così).

Da grandi, diventati l’una ninfomane con tendenze masochiste, l’altro omosessuale, pensano bene di sposarsi per occultare dietro un’apparenza borghese le loro rispettive discrasie. Labbra. Ovviamente il gioco di questo melò cupissimo è prima di tutto erotico; ma se del rapporto omo di Pani e del suo amante George (Jeremy Kemp) non vediamo granché, le scene etero ci sono mostrate in tutta la loro sgradevolezza, con la Gastoni che si concede ai personaggi meno appetibili, come al vecchio dal quale si fa sodomizzare in finestra, durante una festa paesana, o nella già citata scena del biliardo. Ci vuole il buon Silvano Tranquilli, cordiale scrittore di bell’aspetto, per farle pensare al grande amore… ma non basta ad evitare il tragico finale, come da programma. Per fortuna alleggeriscono il tono funereo-morboso le scenette di corteggiamento tra Gino Santercole, fattore al servizio dei coniugi protagonisti, e Daniela Halbritter, cameriera di casa. Anche Margareta Veroni, Miss Italia 1973, ha un ruolino scosciato.

Petroni doveva tenere molto a Labbra di lurido blu, visto l’impegno a 360° nelle vesti di produttore, sceneggiatore (insieme allo scenografo Franco Bottari), montatore e regista. Ne viene fuori qualcosa di davvero sofferto e sentito, un’opera sul disfacimento del concetto borghese di famiglia, molto forte e cruda per i tempi. La critica lo stroncò, ma fu un discreto successo di pubblico. Peccato che Petroni da allora non abbia più fatto un film tutto suo – il successivo incontro col cinema, L’osceno desiderio (1978), sarà un horror esorcistico da lui disconosciuto per divergenze produttive – trovando però nuovi stimoli e consensi favorevoli come romanziere e saggista.