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Love

2015
Titolo Originale:
Love
REGIA:
Gaspar Noé
CAST:
Gaspar Noé (Art Gallery Owner)
Karl Glusman (Murphy)
Klara Kristin (Omi)

Il nostro giudizio

Love è un film del 2015, diretto da Gaspar Noé.

Love è, prima di tutto, un film autobiografico. Lo si capisce immediatamente perché Gaspar Noé si diverte a infarcirlo di riferimenti alla sua vita personale e alle proprie ossessioni. Il protagonista, Murphy (Karl Glusman), è un (giovane) “americano a Parigi” (Noé è argentino) che sogna di diventare regista – il suo film preferito è 2001 odissea nello spazio proprio come lo è per Noé – e che invece incontra una ragazza, Electra (Aomi Muyock), della quale si innamora perdutamente. I due scopano e poi riscopano e poi incontrano la bella e giovane dirimpettaia, Omi (Klara Kristin), e si scopano pure lei… a tre. Ma a Murphy non basta e fa una cazzata: si ri-ri-scopa Omi e (causa goldone bucato) la mette incinta. Nascerà un bambino che, guarda caso, si chiamerà Gaspar; mentre l’amante gallerista di Electra di nome fa Noé – ed è interpretato dallo stesso regista oscenamente imparruccato –, e l’ex fidanzata di Murphy si chiama Lucile, come Lucile Hadzihalilovic (la regista di Innocence), compagna storica di Gaspar. Insomma, tutto un gioco di rimandi estremamente personale per raccontare una storia d’amore andata a male. Quella tra Murphy e Electra che, ancor prima dell’arrivo di Omi, viveva già la curva discendente di una relazione spinta sempre più verso l’eccesso, il tradimento e lo scambio di coppia. Il tutto per mantenere vivo quel misterioso fuoco che si era accesso quella prima volta nel parco dove si erano conosciuti.

Più che Ultimo tango a Parigi, Love è un C’eravamo tanto amati… in acido, che, come nella tradizione di Irreversible, viene raccontato al rovescio con un montaggio che mescola in continuazione passato e presente. Perché, in fondo, dai fantasmi dell’amore non ci si libera mai del tutto. Si parte della fine (della storia d’amore), con l’inaspettata paternità di un Murphy incastrato in una vita che non gli piace: con una compagna che non ama e un figlio che è quasi una creatura aliena. Del resto, è stato concepito sulle note della nenia infantile di Profondo rosso, nella prima delle tante citazioni sonore del film: mentre Murphy parla con un poliziotto in una brasserie, infatti, è facile percepire in sottofondo la melodia di Riz Ortolani da Cannibal Holocaust, mentre nella scena del locale di scambisti (il Rectum?), le performance sessuali si consumano oniricamente sulle note di Distretto 13 le brigate della morte di Carpenter; il resto è affidato alle chitarre dei Pink Floyd di The Wall. Ma i rimandi cinefili non si esauriscono certo qui: sulle pareti della camera da letto di Murphy (che sfoggia una t-shirt nera con Fassbinder scritto alla maniera dei Metallica) fanno bella mostra di sé, fra gli altri, il poster di Salò di Pasolini e quello di Il mostro è in tavola barone Frankenstein di Morrissey, espressioni di una referenza cinematografica un po’ nerd alla quale Quentin Tarantino ci ha da tempo ormai abituato. Ma Love non è un film di Tarantino, è un film di Gaspar Noé, anche se stavolta fa più fatica del solito a essere se stesso… Forse proprio a causa dell’argomento autobiografico, o forse a causa del porno. Perché in fondo, è inutile negarlo, Love, ancora prima di essere girato, ha costruito la sua fama (maledetta?) sull’essere un film porno in 3D confezionato per il circuito mainstream con attori non professionisti. E se è pur vero che l’idea di fare un porno stuzzicasse Gaspar Noé fin dai tempi di Irreversible – quando fece l’oscena proposta persino alla fresca coppia di sposini Cassel-Bellucci – , è altrettanto vero che il porno di per sé avrebbe rappresentato una grande responsabilità. Perché è abbastanza chiaro che il regista lo volesse usare per raccontare una sessualità quanto più sincera e reale possibile, anziché come strumento per scandalizzare lo spettatore. Murphy, del resto, lo dichiara apertamente: «Voglio fare un film dove ci sia sangue, sudore e sperma, perché la vita vera è fatta di sangue, sudore e sperma».

Peccato però che lo dica un po’ troppo spesso, quasi a volersi giustificare. E il risultato è che il sesso esplicito di Love è quanto di meno voyeuristico si possa immaginare. Gaspar si concede un’unica immagine plastica – quella pre-titoli, con un Electra che spompina Murphy, mentre lui lentamente penetra con le dita la di lei folta “pelliccia anni Settanta” –; ma anche qui, la macchina da presa resta immobile a regalare allo spettatore giusto l’immagine composita del sesso. Per il resto, al di là dell’irrinunciabile doccia di sperma in tre dimensioni direttamente sulla testa dello spettatore, e dell’inquadratura impossibile dall’interno della vagina – per di più già vista sia in Enter the Void, nei manga e nelle tante porno-favole di Luca Damiano –, il sesso esplicito viene sempre ripreso senza gratificazione per il dettaglio ginecologico, senza movimenti di macchina spinti a mostrare quello che solitamente viene precluso e, cosa più grave, senza malizia alcuna; come a prendere le distanze da quell’immaginario pornografico che, secondo Noé, non fa parte della vera sessualità. Ma siamo proprio così sicuri che il sesso non sia anche e soprattutto voyeurismo? Non che Love fallisca del tutto la sua missione – anzi, per il sottoscritto funziona meglio di qualsiasi estremismo intellettuale di Lars Von Trier –, ma è come se, in qualche modo, Gaspar Noé si fosse trovato in imbarazzo nel mettersi a nudo di fronte al suo pubblico. Quasi un paradosso considerando che Love avrebbe dovuto essere il film più “libero” e personale della sua carriera.