Non contate su di noi
1978
Non contate su di noi è un film del 1978, diretto da Sergio Nuti.
Troviamo solitamente e abbiamo spesso trovato alla regia di un film persone che fino a quel momento avevano lavorato in altri ruoli: direttori della fotografia, sceneggiatori o attori. Mette curiosità, dunque, veder passare alla regia (per la prima e unica volta) di un lungometraggio qualcuno che fino a quel momento (e in seguito) aveva vestito il ruolo di montatore cinematografico. Il suo nome è Sergio Nuti: inizialmente autore di documentari “militanti”, aiuto regista per Silvano Agosti e in seguito montatore, tra gli altri, per Marco Tullio Giordana, Marco Bellocchio e Gianni Amelio, nel 1978 (anno di uscita nelle sale, ma è il 1977 l’anno delle riprese, dunque un periodo caldissimo per il nostro Paese) decide di passare dietro la macchina da presa e realizzare quello che ad oggi è il primo film di finzione italiano sulla tossicodipendenza dalla parte dei tossicodipendenti, Non contate su di noi. Autoprodotto, in anticipo sui tempi (il più celebre Amore tossico arriverà cinque anni più tardi) e malamente distribuito, il film non ebbe ovviamente la risposta che avrebbe meritato e finì presto nel dimenticatoio del cinema italiano insieme al suo autore. Eppure quest’opera prima (Nastro d’argento per il miglior regista esordiente nel 1978) scritta ufficialmente a sei mani dal regista, la protagonista Francesca Ferrari e Gianloreto Carbone (più l’apporto non accreditato del produttore Manfredi Marzano) appare ancora oggi un lucido documento di quell’epoca, la faccia oscura di una città spesso rappresentata attraverso il suo lato più popolare, riconosciuto e comune (le strade in cui il film è stato girato sono principalmente strade di borgata, oggi quasi irriconoscibili anche per gli stessi romani). Il grido disperato di una generazione costretta a rifugiarsi nella droga dopo aver visto andare i frantumi i propri sogni e i propri ideali.
Il titolo è fin troppo chiaro: Non contate su di noi, generazione di illusi ora emarginati, reietti, non più utili a una rivoluzione rimasta soltanto un’ipotesi. Ma è una dichiarazione dura questa, la presa di coscienza di un fallimento, di una resa. Qualcosa in cui lo spettatore avrebbe potuto identificarsi e in cui probabilmente aveva paura di potersi identificare. E un pubblico giovane accorso in massa (sia per la tematica che per il momento di celebrità che stava vivendo il suo autore) per un film come Ecce bombo di Nanni Moretti, un’opera giovanile riflessiva e precisa, ma più spensierata al confronto del film di Nuti (che uscì oltre due mesi dopo la pellicola di Moretti), non era preparato per un ritratto generazionale così diretto, dal sapore neorealista, molto aderente alla realtà e ai problemi di quel tempo. Senza contare poi l’errore nel distribuire il film in un cinema come l’Embassy (oggi parte dei tanti cinema romani abbandonati e/o chiusi) che si trovava ai Parioli, luogo di certo sbagliato per un film del genere. Che non cercava di compiacere il pubblico o di farlo sentire a suo agio e che non aveva al suo interno degli attori noti a far da traino, ma che intendeva far vedere qualcosa che il cinema di quel tempo non era solito (o non era mai stato in grado di) mostrare.
Nonostante la sceneggiatura di Non contate su di noi non sia sempre ben congegnata e molte scene avrebbero potuto benissimo essere eliminate dal montaggio definitivo, si possono rilevare anche diversi pregi: una bella colonna sonora curata dal musicista Maurizio Rota, anche interprete nel ruolo di Robby; alcune sequenze probabilmente definite in fase di montaggio che confermano la povertà dei mezzi riscattata da ricchezza d’idee (vedere la doppia sequenza iniziale, prima con i titoli poi senza o la stralunata scena in autostrada); l’inevitabile spontaneità di tutti gli interpreti. Siamo davvero certi che un’opera simile, a quasi quarant’anni dalla sua realizzazione, meriti il dimenticatoio?