Terminator
1984
Terminator è un film del 1984, diretto da James Cameron.
Terminator resta, rivisto oggi, il film più violento di James Cameron. In questo, è specchio lampante dei tempi e di un’epoca in cui il cinema action faceva vedere il sangue. Né gli altri capitoli né il resto della filmografia del regista raggiungeranno livelli così sozzi e abbondanti in quanto a durezza. Terminator, esordio a Hollywood di Cameron dopo il vero esordio “ai margini” di Piraña paura, è ancora sporco e ruvido, come buona parte di un genere – l’action, appunto, e poco importa se contaminato da altri generi, horror o fantascienza o altro – che negli anni Ottanta riuscì a dare una valanga di opere tostissime. Se è vero, insomma, che la cifra e i germi tematico-stilistici di Cameron ci sono e si vedono, è anche vero, e piace pensarla così, che Terminator appartenga più a un’epoca che al suo fautore. La maschera di Arnold Schwarzenegger è imbattibile: quando gira in auto alla caccia dei due piccioncini, con la testa che lentamente si gira di qua e di là, e gli occhi che la anticipano di pochissimo, mette davvero paura. Inoltre, l’autoperazione a cui sottopone il braccio e l’occhio è ancora un gran pezzo di New Horror (e bisognerebbe una buona volta inserircelo, Terminator, in questa corrente). Ottimo il brano musicale portante di Brad Fiedel, con dei tum-tum che paiono i battiti del cuore: il musicista non farà mai più niente di così bello, tranne una volta, con la musica magnifica per Il serpente e l’arcobaleno.
La sequenza nella discoteca (Tech Noir, chiamata così dagli autori per identificare anzitempo il genere, o sottogenere, in cui è possibile inserire la pellicola, e per prevenire la smania critica di etichette) rivaleggia in efficacia con l’altra scena disco-suspense più memorabile dell’intero decennio, quella di I falchi della notte. E poi ci sono un paio di ralenti – uno per tutti: Schwarzi che sfonda la porta prima di sparare nella schiena dell’amica coinquilina di Sarah – che risultano ispiratissimi, e hanno contribuito di certo a spedire il robot di pelle tra i più grandi villain di tutti i tempi. Un paio di curiosità. Per il trucco era stato contattato Dick Smith, che all’epoca era il top, e che declinò, suggerendo il nome di Stan Winston. Schwarzi doveva in un primo tempo interpretare la parte di Biehn, ma si ostinò contro tutto e tutti ad avere quella del killer, per la quale originariamente si era pensato a Lance Henricksen, finito poi a interpretare il poliziotto. All’inizio, compare in un ruolo punk Bill Paxton, che diventerà una specie di portafortuna per il cinema di Cameron.
Forse più di Blade Runner, sicuramente più di Tron, Terminator è stato il fondatore della linea elementare del cyberpunk, ovvero quella che riguarda il corpo come macchina di metallo, la presenza di un meccanismo dentro la carne e la possibilità che possa esistere un’alterità di ferro e chip in grado di concorrere con le capacità umano-motorie (per non dire altro). Anche se dovremmo prendere in considerazione l’orribile Io e Caterina, è Terminator che, al di là di apocalissi prossime, terrore per l’ignoto e per il futuro e deontologia della scienza, ha instaurato nell’immaginario popolare la figura di un corpo che mette a dura prova non soltanto la nostra comprensione, ma anche e soprattutto il nostro potere di dominio. E allora vengono buoni tutti i discorsi che vogliamo, dalla colonizzazione rovesciata e punitiva all’orrore di e per noi stessi, che non ci conosciamo e che ci facciamo paura (vedi Videodrome). Il terminator è in fondo colui che termina – appunto – la nostra supremazia, e ci fa fare i conti coi nostri peccati originali e antropocentrici. Non una cosa da niente, per un film che è diventato un blockbuster (ma non è nato come tale, visto che i soldi erano assai pochi), che ha una protagonista abbastanza cessa e per il quale si era proposto una volta addirittura il nome di O. J. Simpson.