The Survivalist
2015
The Survivalist è un film del 2015, diretto da Stephen Fingleton
Gli Inglesi sono così. A band apart. Dandy. Retrò. Luddisti. Isolazionisti, ma questo è tautologico. Quando gli scenari del dopobomba, o del dopocontagio, sembrano acclarati quasi fossero di già accaduti, eccoli pronti alla Brexit, perché anche la catastrofe deve avvenire a modo loro. Nello specifico, chiunque abbia occhi per vedere un film o una serie lo sa: ci sarà un virus mortale, i morti diventeranno non morti, cammineremo tutti così, trascicando i piedi, con qualche metro di intestino fuori dal nostro ventre molle, mugugnando senza sosta. Loro no, gli Inglesi non lo sanno, per loro Malthus è stato un trauma, restano terrorizzati dall’incubo della sovrappopolazione, della crescita esponenziale delle genti con conseguente decrescita infelice delle risorse, scarse per di più, e per scacciare l’incubo si isolano, appunto, nelle foreste, verdi mammelle di mamma Albione, e colà credono di sfangarla. The Survivalist, di Stephen Fingleton, premiato al Tribeca, al Sitges, ai Brit Awards, e ora in programma all’Irish Film Festa di Roma dal 7 al 10 aprile alla Casa del Cinema. Che questo Fingleton è nordirlandese, quindi ci sarebbe un altro capitolo da aprire su fobie e psicosi dell’Irlanda come sottoinsieme della Gran Bretagna, ma siccome ha studiato alla UCLU Film Society, quella di Chris Nolan, vi basti quanto asserito nella intro. Il suo film è pregnante sin dal titolo: va infatti rimarcato che non si tratta di un Survivor qualsiasi, di uno proiettato nel passato dal quale è miracolosamente uscito indenne, ma di un Survivalist in carriera, con la desinenza ad indicare chi fa della sopravvivenza la sua professione, in itinere acquisisce competenze – skills, consentitemi – per competere nel mondo del suo oggi.
Un mondo bucolico quindi, un vecchio Nuovo Mondo, dove sto Survivalist, come un colono post Mayflower, si è appropriato di un minuscolo podere con annesso appezzamento di terra e produce da sé, a chilometro zero, lo stretto necessario per sopravvivere, cioè per continuare ad esercitare la sua professione. Siamo tutti sotto il cielo però, e anche lui lo è, nello specifico non ha fatto i conti con l’altra metà del cielo, una collega Survivalist, due colleghe Survivalist, madre vecchiaccia e figlia pubescente, ed ecco il triangolo: lui, lei, la suocera. Straordinario e nuovissimo triangolo per il cinema inglese, non ricordo infatti altri esempi fulgidi di coppia con contrappeso di parentame al seguito, e qui Fingleton decolla, perché mette in scena il machismo, il titanismo dell’uomo solo e resistente, in contrapposizione al matriarcato che pure sarebbe la cifra delle società primitive, primitive survivaliste. L’incontro di Adamo e di Eva nasce sul filo del baratto ovviamente, cresce sul piano degli ormoni, accoppiamenti belluini reiterati, e mammà a sentire tutto nell’altra cameretta della baracca, con occhi che tradiscono pensieri strani, lubrichi, assassini, non è dato sapere. È tutta una questione di baricentro, se il legame di sangue sia più o meno forte del legame di cuore, o di sperma.
I problemi veri nascono perché la sovrappopolazione ha lasciato strascichi umani, quindi arrivano gli invasori, agguerriti come unni, e dove passano loro non cresce più erba, nemmeno più un seme del misero colono. Ora c’è poco da mangiare, a stento per due, figurarsi per tre, uno è di troppo, e qui Fingleton piazza un’altra stoccata, vira vero i Maestri Orientali ed è meraviglioso studiare quanta ostilità incrociata nasca nella strafamiglia, dove ognuno è homo homini lupus, che poi è la condizione umana essenziale descritta da Hobbes, filosofo di Inghilterra, di dove altro sennò. Qui The Survivalist diventa Onibaba, oppure un altro #daunideadiparkchanwook, e gli eventi progrediscono passando da un trend inerziale ad una progressiva caduta verticale, la terra si bagna di sangue di vittima sacrificale. nel grembo cresce il seme inquieto di un’altra bocca da sfamare. La fine arriva, ma non è nota, a me si cioè ma voi dovete ancora vedere il film, avete l’obbligo di guardarlo, allora vi dico solo che Fingleton sposa fino in fondo la Brit Distopia, sembra ammiccare al glocal I Figli degli Uomini invece ci porta nella Storia del suo popolo, guarda alle Enclosures, alla orrida nascita di una nuova borghesia mercantile, militarista, segregazionista, liberoscambista. Stay alone, Stay hungry, Stay British.