10 film poco conosciuti da guardare ad Halloween
Le pellicole sepolte di ieri e di oggi da rispolverare
Sopravvissuti più o meno integri ad una potenzialmente letale apocalisse zombie che ci ha fatto seriamente temere che gentaglia come Romero e Boyle la sapessero ben più lunga di quanto non dessero a vedere, rieccoci qui freschi e pimpanti per un’alta attesissima vigilia d’Ognissanti da vivere in compagnia di quei sani e succulenti brividozzi che solo il nostro amato cinema dell’orrore, come lo chiamava la cara nonnina, è in grado di procurarci. E così, come da tradizione ormai ben consolidata nella nostra nocturniana cripta, eccovi serviti alcuni (si spera) graditi e succosi consigli filmici per allietare la vostra serata a luci spente e pronta rigorosamente sprangata, alla ricerca di quel titolo che non via aspettate o di quella pellicola di cui magari non avete mai sentito parlare ma che, solo dal titolo, vi causa un immediato cinematografico inturgidimento. Buon Halloween a tutti dunque e, visti i tempi che corrono, ricordate sempre di tenere a portata di mano le quattro fondamentali regole di Benvenuti a Zombieland: tenetevi in forma, doppio colpo sempre in canna, occhio al bagno e, ultimo ma non meno importante, allacciate sempre la stramaledetta cintura di sicurezza! Scopri la nostra lista dei 10 film poco conosciuti da guardare ad Halloween
La testa di Giano (F.W. Muranu, 1920)
Se non bastassero i vampiri ecco che il buon Friedrich Wilhelm può vantarsi di un altro importante primato, ovvero di aver per primo portato sullo schermo l’inquietante romanzo breve firmato da Robert Louis Stivenson nel quale un folle scienziato si trova a cavar fuori dalle profondità del proprio animo la sua più oscura e letale controparte. Al posto del celeberrimo dottor Jekyll qui troviamo un certo dottor Warren (il mitico Conrad Veidt de Il gabinetto del dottor Caligari) il quale, dopo aver acquistato da un losco e faustiano antiquario un misterioso busto di marmo a doppia faccia che ritrae simultaneamente la testa di una divinità e di un demone, ne diviene talmente ossessionato da sputar fuori, quasi per rigetto psichico, un terribile e letale alter ego che risponde al nome di Mr. O’Connor. Sarà proprio questo folle dualismo che metterà in serio pericolo la salute mentale e l’incolumità fisica del medico e della sua amata (Margarete Sclegel) conducendo entrambi in una spirale di morte e perdizione. Orrore di gran classe a suon di espressionismo che non ha bisogno di una parola o di un suono per farci accapponare la pellaccia come cinema comanda.
La Llorona (Ramòn Peòn, 1933)
Se già state pensando ai vari Km 31 e Le lacrime del male, diciamo subito che questa interessantissima e inquietante pellicoletta messicana reaelizzata con quattro spiccioli e mezzo taco non ha nulla di che spartire con i vari ConjuringVerse e affini. Niente gentaglia di bianco vestita e di nero crinita pronta a buttarci in faccia jumpscare come caramelle a una festa di compleanno. No, nulla di tutto ciò, ma solo il dolore ultraterreno di una donna che, dopo aver affogato i suoi amati figlioletti annebbiata dalla collera per un marito menefreghista e decisamente troppo libertino, toltasi lei stessa la vita si trova a vagare nelle nebbie di un limbo nel quale le anime dei malamente trapassati tentano disperatamente di disfarsi di ciò che li tiene ancora ancorati alla nuda terra. Ed è certo che la nostra sciroccata e infanticida mammina, con il peso di una tale colpa sul groppone, ne avrà di che penare prima di poter vedere la tanto agognata lucetta in fondo al tunnel, andandosene in giro a spaventare chiunque le capiti a tiro con il suo solo agghiacciante lamento.
La casa rossa (Delmer Daves, 1947)
Come direbbe il caro senatore Razzi: “Amico caro… fatti li cazzi tuoi!”. Un insegnamento che il giovane Nath (Lon McCallister) avrebbe fatto meglio a tenere ben a mente prima di fare le pulci ad un tipo come Pete Morgan (Edward G. Robinson), gentile agricoltore che vive in mezzo alle fresche frasche assieme alla sorella Ellen (Judith Anderson) e alla nipote bella Meg (Allene Roberts), quest’ultima adottata dopo la misteriosa scomparsa dei genitori naturali. Il nostro affabile e non più giovincello signorotto, normalmente gioviale e di gran cuore, non perde tuttavia occasione di sbroccare pesantemente contro chiunque abbia l’ardire di evocare anche solo il nome di una misteriosa Casa Rossa ben infrattata nelle profondità del bosco, nella quale un terribile segreto dal passato sembra riposare in attesa di essere riportato pericolosamente alla luce. Un elegante e teso thriller psicologico d’altri tempi, con grandi attori d’altri tempi e magistralmente diretto da un pezzo da novanta della macchina da presa della golden age holywoodiana capace qui di provocarci dei genuini e pertubantissimi brividozzi in bianco nero come solo i grandi sanno – pardon, sapevano – fare.
Terror is a Man (Gordon de Leon, Eddie Romero, 1959)
Primo morbosissimo capitolo della cultissima serie cinematografica dedicata all’oscura “Blood Island” prodotta da Eddie Romero e Kane W. Lynn sulla base delle celebri pagine dell’Isola del Dottor Moreau di H.G. Welles, questa stuzzicante avventura dal sapore horror-fantascientifico conosciuta anche come Blood Creature, Creature from Blood Island e Gore Creature ci presenta la disavventura del povero naufrago William Fitzgerald (Richard Derr) il quale, dopo essere approdato privo di sensi sul famigerato atollo degli orrori, scoprirà con sgomento che gli unici tre residenti locali, il Dr. Girard (Francis Lederer), la sua sessualmente insoddisfatta mogliettina Frances (Greta Thyssen) e il losco assistente Walter (Oscar Keese) stanno tentando di portare a termine un folle esperimento che consiste nel trasformare una famelica pantera in un essere umano, con tutte le mostruose e mortali conseguenze del caso. Di sangue neanche una goccia a dire il vero, tranne che per una delle primissime e disturbanti sequenze di intervento chirurgico della storia del cinema de paura che vale da sola il prezzo del biglietto e dei pop corn caramellati.
Il boia è di scena (William Conrad, 1965)
Abracadabra… alacaZAM! È un taglio netto alla testolina di una povera assistente il clou del più famoso e macabro spettacolo del grande Dunquesne, illusionista di meritata fama amante del teatro Grand Guignol da poco dipartita ma intenzionato come non mai a veder realizzato il suo più ambizioso trucco: il ritorno in direttissima dal regno dei morti! Ed è all’unica bella figliola Cassie, rimasta lontana da casa per anni dopo la misteriosa scomparsa della madre, che lo scaltro Merlino del gore lascia in eredità tutta la propria fortuna, a patto però che la giovane primogenita resista sette giorni e sette notti nella sinistra villa di famiglia piena di oscure insidie e macabri scherzetti degni della più nera delle fantasie di un William Castle in splendida forma. In compagnia dell’affascinante giornalista Val (Dean Jones) la nostra dovrà dunque uscire indenne da una settimana di sussulti e spaventi dietro ai quali una verità ben più inquietante si nasconde sorniona come un malefico brigante pronto a colpire a suon di scricchiolii, agguati nell’ombra e parecchi scheletri nell’armadio. O in soffitta, fate un po’ voi.
Lisa, Lisa (Frederick R. Friedel, 1974)
Il crimine non paga mai, vero? Certo, peccato che tre mafiosetti come Steele (Jack Canon), Lomax (Ray Green) e Billy (Frederick R. Friedel) pare proprio non prestassero la dovuta attenzione quando la cara mammina impartiva loro il fondamentale insegnamento. In caso contrario, dopo avere gettato dalla finestra un insolvente omosessuale e giocato al Guglielmo Tell con una povera cassiera di supermercato, non si sarebbero certo andati a cacciare nella scalcinata e sperduta casetta di campagna nella quale la giovinetta decisamente sciroccata che dà il titolo al film abita tutta sola con l’unica compagnia del povero nonnino muto e paraplegico. La nostra bella figliola dai rossi fluenti capelli che se ne va in giro civettuosa e un po’ svampita in bianca camicia da notte e a piedi scalzi pare infatti nascondere una segreta passione per l’affilata ascia con la quale questo piccolo inquietante slasher ante litteram è conosciuto nella terra dello zio Sam, preparandosi ad accettare – nel più letterale dei termini – chiunque capiti nel suo decisamente poco allegro focolare. Atmosfere di autentico malsano terrore rese tali da una delle colonne sonore più spaventevoli di sempre per un autentico miracolo dell’horror di serie B realizzato in appena nove giorni da un allora inesperto ma talentuoso venticinquenne con a disposizione appena 25 mila dollari e uno stock di pellicola riciclata.
The Slayer (J.S. Carone, 1982)
Fin da piccola la giovane Kay (Sarah Kendall), pittrice astratta di discreto successo e dalla vita privata non particolarmente movimentata, è afflitta da terrificanti incubi nei quali un oscuro essere dalle mani artigliate e dal viso sfigurato viene per ghermirla nella notte e portarla via con sé. Ed è proprio per tentare di alleviare queste visioni divenute col tempo sempre più opprimenti che la nostra bella artista sull’orlo della depressione decide di accogliere il consiglio del maritino David (Aln McRae) di concedersi qualche giorno di meritato riposo su di una piccola isola al largo della Georgia, in compagnia del fratello Eric (Frederick Flynn) e della cognata Brooke (Carol Kottenbrook). Ma è proprio durante una terribile tempesta che obbliga l’intero gruppo all’isolamento forzato in una fredda e desolata casupola che il demone che cova nei sogni di Kay sembra iniziare a mietere vittime nella nuda e cruda realtà, rendendo sempre più labile il confine tra mondo onirico e quello materiale. Un momento, ma non sarà mica…?! No gente, anche perché siamo ben due annetti prima che quel mattacchione ustionato di Freddy Krueger inizi a far sanguinolenta baldoria in quel di Elm Street. Il fatto poi che Craven abbia dato più di un’occhiata all’horrorino di Carone – conosciuto anche come Nightmare Island – prima di dar forma al suo Nightmare è purtroppo un segreto che entrambi si sono portati gelosamente nella tomba.
Bad Pinocchio (Kevi S. Tenny, 1996)
Diciamoci la verità: nonostante i nostri raffinati palati cinematografici, in fondo in fondo le taroccate ci piacciano assai. Soprattutto poi quando a taroccare è una vecchia conoscenza come il Kevin S. Tenny della saga di Spiritika e ad essere taroccata è nientemeno che la celeberrima Bambola Assassina di hollandiana memoria. Ma stavolta, al posto del buon vecchio sboccato Chucky, ecco un nuovo infernale bambolotto che richiama le paciose fattezze dell’allegro burattino della fiaba di Collodi, capitato nelle mani del rampante avvocato Jennifer Garrick (Rosalind Allen) dopo che il suo misterioso assistito, condannato a essere fritto sulla sedia elettrica con l’accusa di aver accoppato diversi bambinelli, è stato pescato dalla polizia proprio nell’atto di seppellire l’apparentemente innocuo pupattolo, indicando proprio in quest’ultimo il vero autore degli infanticidi. Inutile dire che per la nostra protagonista e la di lei figlioletta Zoe (Brittany Smith) si preparano tempi durissimi, soprattutto quando la malefica marionetta inizierà a dar sfogo a tutta la propria sadica malvagità a suon di rastrellate a tradimento, scorrazzate notturne e parecchi oggetti contundenti utilizzati a sproposito. Nulla di nuova sotto il sole, sia chiaro, ma quando le bambole son stufe di starsene lì ferme a prender polvere, beh, diciamo pure che c’è parecchio di che divertirsi.
The Rage (Robert Kurtzman, 2007)
Fosse un tipo un po’ più accomodante non c’è dubbio che Robert Kurtzman ci avrebbe regalato ben più di tre sole pellicole nell’arco di una trentennale carriera. E invece il nostro effettista speciale, da buon intransigente della macchina da presa, dopo gli illusori fasti del fu primo capitolo della non certo esaltante saga di Wishmaster si è ritrovato a doversela cavare praticamente da solo, con produzioni a costo zero che tuttavia gli hanno permesso di dar libero sfogo alla propria insaziabile vena ribalda e maramalda. Ne è un pieno e gustosissimo esempio questo delirante e debordante horror di profondissima serie B nel quale uno sbroccatissimo ex scienziato sovietico, scopritore nientemeno che della cura assoluta per il cancro, dopo essere stato trattato a pesci in faccia tanto dai compagni dello zio Stalin quanto dai porci capitalisti made USA ha ben deciso di instillare la propria letale frustrazione in un terribile virus – chiamato per l’appunto La Rabbia, in uno sfoggio di grandissima originalità – con cui infettare il mondo intero affinché gli esseri umani si autodistruggano a vicenda, rifondando così dalle ceneri della civiltà morente un nuovo impero di esseri mutanti e parecchio incazzati. A fare le spese di tutto ciò sarà un piccolo gruppetto di ragazzotti in gita nel bosco che, tra mutazioni corporee, liquami assortiti e persino uno stormo di famigerati avvoltoi zombificati, tenteranno di portare a casa quanto più possibile sana e salva la pellaccia.
Depraved (Larry Fessenden, 2019)
Larry Fessenden bussa e noi, ovviamente, non possiamo che esser subito pronti a rispondere. Sempre e comunque. Anche quando il nostro laido e corrottissimo cineasta sceglie di propinarci l’ennesima rilettura del Moderno Prometeo partorito dalla brulicante fantasia di Mary Shelley. Stavolta il mostracchione rattoppato e rivitalizzato prende vita nelle sembianze di Adam (Alex Breaux), patchwork umano assemblato dal dottor Hanry (David Call), ex medico dell’esercito americano reduce dai pesanti postumi della sindrome da stress post-traumatico la cui mission assoluta consiste nel creare il proprio personale mostro di Frankenstein. A pagarne il prezzo sarà purtroppo un giovane sconosciuto in procinto di chiedere la mano della sua adorata fidanzata (Ana Kayne), il cui cervello gli verrà letteralmente scippato dalla scatola cranica per essere impiantato nella nuova immonda creatura. E se la creazione dell’essere rappresenta tutto sommato la parte facile, quella difficile sarà riuscire a insegnare al nostro Franky bello cosa significa vivere, il tutto ovviamente senza causare morte e distruzione ad altri poveri ignari avventori. E come sempre il nostro caro Larry la picchia giù dura in fatto di gore e frattaglie assortite, ben coscio del fatto che se ormai la storiella la conoscono anche i polli, nulla toglie che un po’ di sangue e budella al posto giusto possono ancora stuzzicare il nostro sadico appetito.