Pornorella
1978
Pornorella è un film del 1978, diretto da Harry Hurwitz
Giunto al ventunesimo anno di età, il principe di un reame senza nome, preoccupato da una momentanea impotenza, parte alla ricerca della sua dolce metà. Un’impresa avventurosa, che lo condurrà tra cupide nobildonne e cortigiane voluttuose, fino al talamo inviolato della Bella Addormentata. Che ci fa una Biancaneve ballerina e tremendamente conturbante in un ampio letto infestato da nanerottoli dalla mano lesta? E una fatina grassoccia e stonata che, armata di gigantesco bordone palesemente plastificato, saltella mezza nuda nel giardino delle delizie? Lungi dalla pasoliniana trilogia, la verità è ancora più intrigante. Chaucer cede il posto alla tradizione popolare, le salaci storielle di Canterbury alla Mother Goose del folklore britannico. Harry Hurwitz (aka Harry Tampa) ne è il sommo cantore, il blasfemo bardo che, infischiandosene dei sacri testi del passato, preferisce narrare le gesta di moderni cavalieri e sovvertire l’amor cortese di virginali dame. Ecco Fairy Tales, anno 1978, da noi distribuito come Pornorella. Se esistono film talmente brutti da risultare pregevoli, se l’orrido alle volte è occasione di estasi sublime, ebbene questo film ha tutte le carte in regola per figurare in un’ipotetica lista di venusta turpitudine. Tra gingilli, orpelli e debordanti chincaglierie, il risultato è una paccottiglia trash colorata ma pacchiana, così satura da infastidire, talmente assurda da informicolire i sensi anziché ridestarli.
Anne Gaybis (s)veste i panni di Biancaneve, turgida, mora e sensuale, circondata dai sette nani col pigiama a righe orizzontali, il sigaro, baffoni da porno divo e qualche nasone posticcio. Una folla chiassosa e fischiettante che le sfila la gonnella, ne segue l’ancheggiare, palpeggia e tasta incuriosita. Ecco allora entrare in scena la fatina Little Bo Peep (sic), interpretata da una Angela Aames pettoruta ma al limite dello sfacelo. Le pingui rotondità ondeggiano, i seni straripano nel corpetto giallo limone, la bacchetta magica simile a un gigantesco candito si muove come a voler dispensare stregate meraviglie. E se la voce gracchia e strimpella, il culetto fa brutta figura, poco importa. Lo spettacolo è allestito per il Principe (Don Sparks) che, con un faccino ebete ma sornione, pare un Cappellaio Matto strippato di cocaina. E sempre la musica, il pop, le canzonette da juke-box, i numeri caramellosi da cabaret ne seguono il viaggio, la ricerca della sua Sleeping Beauty, attraverso la corte di King Cole, vegliardo in fregola per l’odalisca araba Schehrazade, giù fino ai sotterranei, il boudoir sadiano dove un surrogato delle Andrews Sisters rinuncia alla divisa per un più sobrio look sadomaso e canterino.
Nel magico reame di Pornorella tutto stupisce e ammalia. Persino il fatto che non sia il primo della serie; come dimenticare Cinderella (1977) di Michael Pataki che, col film di Hurwitz, condivide persino un mattatore (Sy Richardson)? Per non parlare di Once Upon a Girl (1976) ad opera di Don Jurwich, cartone animato a luci rosse, tra l’altro laboratorio di sperimentazione, incredibile ma vero, per alcuni tecnici della Disney. La sbobba alla fine funziona, un miraggio di sensatezza ne pervade le tonalità, ne sfiora i malridotti costumi, gli ammennicoli zingareschi e volgarmente circensi. Questo mondo a rovescio, vibrante d’abietto splendore, ci ricorda costantemente che l’umanità è ormai troppo grande per credere alle fiabe. Troppo grande e soprattutto troppo disperata.