Suspiria
1977
Suspiria è un film del 1977, diretto da Dario Argento
Se Suspiria, Inferno e Tenebre sono veramente correlati (ma ci si potrebbe aggiungere anche Phenomena), dipende anche dalla possibilità di filtrarli attraverso la lente d’ingrandimento della fantascienza. Se Inferno è la realizzazione terrena e terragna, a macchia d’olio e continentale, dell’orrore che si sviluppa sulla paura dell’ignoto, e Tenebre, l’opera più apertamente sci-fi di Dario Argento, è l’apocalisse quasi mathesoniana, post-apocalittica e post-atomica, di un sentire e di un genere stesso (l’autore non ha mai nascosto di aver voluto rendere con l’Eur un panorama sospeso e, appunto, da fantascienza), Suspiria è un incandescente film di fantascienza, che racconta di una viaggiatrice sbarcata su un pianeta sperduto e misterioso, dove incontra mostri e morte, riuscendo infine a scappare mentre tutto prende fuoco. Non serve a nulla leggerlo come resoconto destrorso nei confronti della differenze razziali e culturali, perché l’idea bianconera di fantascienza a stelle e strisce è assai lontana (in tutti i sensi). Suspiria è il film argentiano più baviano di sempre. È il Terrore nello spazio di Argento. Cromatismi, stupore e shock sono un po’ gli stessi della pellicola del 1965. Gli astronauti di Bava giungono su Aura, e lì restano invischiati da un turbinare di eventi: cadaveri, colori, fumi e possessioni li assoggettano e li divorano. Susy dall’America arriva in un’accademia di danza a Friburgo, e lì viene obnubilata da un vortice estatico: cadaveri, colori, fumi e possessioni la assoggettano e la divorano.
Argento stesso, poi, usa violenza sulla scena e sul film, inondandolo di note tonanti che se appaiono lontane dalla profondità abissale e spaventosamente silenziosa della notte perenne dello spazio, a loro modo riescono però a indicare un’originale versione dell’abisso, la siderale infinitezza del vuoto come una cassa acustica a volume massimo, in sé stupefacente e “magnifica” al pari di un galleggiare senz’aria e “senza audio” nel buio tra le stelle e i pianeti. Susy trova in quella terra sconosciuta forme di vita che la vogliono prendere, esattamente come i protagonisti di Terrore nello spazio. Se si tratta, allora, di territori inesplorati (la scuola in cui vivono le streghe), la libertà della rappresentazione è totale. Mario Bava lo capì, e fece della sua science fiction un magma ricco di suggestioni senza inizio e senza fine, senza limiti e senza schemi. L’Argento di Suspiria fa lo stesso, aumentando il giro della manopola dell’audio e del video, gonfiando fino allo spasimo, praticando continue endovene. Ne esce fuori un film che è il 2001 della sua intera filmografia: il punto di non ritorno di un’estetica, di un’immaginazione, di una libertà – appunto – che ancora per un paio di lavori avrà modo di riesplicitarsi. Inferno e Tenebre saranno, infatti, il progressivo asciugamento di un’idea fantascientifica che con Suspiria parte in quarta: quella del genere (l’horror o il thriller) come campo non soltanto di sperimentazione, ma di tentativo di conoscenza e/o apprendimento (gli astronauti, Susy), per scontrarsi infine con entità che sono la soluzione inevitabile di un calcolo che si vorrebbe matematico, e che invece produce il caos, il fallimento. Più che indagare sui rimandi, recuperi, citazioni, omaggi nell’horror successivo (e sappiamo tutti che ce ne sono a iosa, fino al più volte citato Deep in the Woods), sarebbe più curioso dunque scoprire cosa c’è (se c’è) di Suspiria nella fantascienza del ventennio successivo. Si accettano indicazioni.
La science fiction “col trucco” di Argento ha influito su un genere che di per sé non ha dato numerosissimi frutti negli anni Ottanta, Novanta e oltre? E se sì, quanto e come? Un esempio soltanto, Fantasmi da Marte di Carpenter. La squadra militare di recupero che giunge su Marte per prelevare il criminale “Desolation”, incontrando resistenza mortale da parte di forme inquiete e inquietanti che si impossessano dei corpi degli umani per annullarli completamente e diventare razza unica e suprema, non fa un po’ il medesimo percorso dentro l’orrore e l’inconoscibile che Susy compie in un universo anch’esso tendente al plagio e alla supremazia assoluta? E l’aggressione ai sensi che Carpenter mette in atto con la musica hard e con la pastosità dei neri e degli arancioni di Gary B. Kibbe non ricorda quella dei Goblin e di Luciano Tovoli in Suspiria? Lo spettatore è immerso fino al collo in un universo di cui non riesce e non può afferrare il “casino”: e l’invasione del corpo e della scena arriva a compimento.