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Luca il contrabbandiere

1980
Titolo Originale:
Luca il contrabbandiere
REGIA:
Lucio Fulci
CAST:
Fabio Testi
Marcel Bozzuffi
Saverio Marconi

Il nostro giudizio

Luca il contrabbandiere è un film del 1980, diretto da Lucio Fulci

Luca Ajello, insieme al fratello Michele, vive contrabbandando sigarette a Napoli. Perso un carico di duecento milioni, Luca sospetta che nel giro dei boss qualcuno lo abbia preso di mira. Inizialmente pensa sia il malavitoso Sciarrino, che si rivela però innocente. Si scopre che il motore è il “Marsigliese” che vorrebbe mettere Luca al servizio del traffico di droga… Il Mereghetti lo marchia a sangue, con acredine, come “noir urbano di rara cretineria”, mentre Stephen Thrower non si capisce se lo apprezzi o no, nel lungo pistolotto che gli dedica nel suo libro su Fulci, tirando in ballo persino Stalker di Tarkowsky a (s)proposito – se non leggo male l’inglese – del cadavere di Nello Pazzafini “cotto” nella solfatara. Il terrorista dei generi lo incensa ma senza troppa convinzione. Storicamente, Luca il contrabbandiere è al centro di quel periodo aureo (commercialmente e artisticamente) per Fulci che inizia con Zombi 2 nel 1979 e si protrae fino a metà degli Ottanta con la serie horror della Fulvia film, cui è omogeneo e di cui ripete la filosofia ultraviolenta e scioccante. A produrre non è però Fabrizio De Angelis ma la Primex di Sandra Infascelli, la quale evidentemente credeva nella potenza residuale del “poliziottesco” – ormai quasi del tutto estinto nella sua forma “pura” – tanto da finanziare il canto del cigno di Umberto Lenzi nel genere, Da Corleone a Brooklyn, e, appunto, questo esperimento fulciano.

È noto che i soldi non bastarono a terminare il film ed è rimasto leggendario l’aneddoto riferito da Fabio Testi e dallo stesso regista secondo cui sarebbero stati i contrabbandieri di Napoli a permettere di portare a termine le riprese, pagando le diarie. Secondo punto: nell’immaginario dei tardi polizieschi di Lenzi (il citato Da Corleone…) e Massi (Sbirro, la tua legge è lenta… la mia no, del 1979) la sceneggiata napoletana in veste noir, portata alla ribalta dai film di Alfonso Brescia con Mario Merola, regna sovrana. Nemmeno Luca si sottrae all’influsso: perché questa nuova variazione sul genere funzionava bene al botteghino. Ma la risultante è un bagno di violenza (“Violenza” doveva essere il titolo originale) e di sangue che non ha paragoni in un poliziesco italiano – lo sceneggiatore Ettore Sanzò era uno cui piaceva lavorare di mazza e dove passava lasciava il segno, da L’ultimo treno della notte a La settima donna. Ma Luca il contrabbandiere non è un poliziesco, allo stesso modo in cui I 4 dell’Apocalisse non è un western: Fulci sventrava dall’interno qualunque “forma” precostituita e la riplasmava.

Il viso cotto con la fiamma ossidrica di Ofelia Mayer (qualche giornale riportò la notizia che l’attrice si fosse fatta male sul serio e avesse denunciato la produzione), la scena della sodomizzazione di Ivana Monti («Uno sfregio deve essere uno sfregio: voltala!»), la revolverata in bocca a Tommaso Palladino, il cadavere abbrustolito dalla solfatara, la maschera tumefatta di Testi dopo il pestaggio o la carneficina finale, stanno all’intergenere fulciano esattamente come gli orrori di Zombi 2 o dell’Aldilà. Il linguaggio scavalca qualunque categoria, si fa esso stesso categoria, nel caso del cinema di Fulci di quei quattro, cinque anni eccezionali. Il finale con Bozzuffi fatto fuori tra la monnezza, rifiuto tra i rifiuti, difficilmente può essere un caso di fortutita analogia con la fine di Milano odia di Lenzi, anche se in questo genere di corresponsioni a distanza bisogna andarci sempre molto cauti. A livello antiquario, andrebbe recuperata la puntata del Maurizio Costanzo Show in cui Fulci con Ivana Monti e Fabio Testi erano ospiti per presentare il film.