Zebraman
2004
Con Zebraman di Takashi Miike, del 2004, tratto da una serie cult televisiva giapponese il tocco del regista soccombe all’intrattenimento per famiglie.
Un difetto che Takashi Miike ha è quello di accettare praticamente qualsiasi progetto e lavoro gli venga offerto; certo, ciò lo rende uno che ama il suo mestiere (fatto non poi così ovvio per certi registi), ma il problema è che sopratuttto negl’ultimi anni, il Cinema del nostro giapponese preferito sembra essere forzato in compromessi produttivi che lontanamente gli appartengono. A mancare, in determinate opere (uno a caso: Yatterman) è l’impronta autoriale, il fare dadaista di un regista che non ha paura di vomitare nel caos la messa in scena e l’intreccio: Takashi Miike è un regista con un marchio che abbiamo imparato a conoscere ed amare nel corso degl’anni, ed è questa bolla che vediamo estinguersi di volta in volta, di film in film. Come se Miike sia ormai diventato una scommessa, una roulette di alternanza tra film ancora carichi d’innovazione e meraviglia (Crows Zero con le sue scazzottate in jump-cuts, estremo orgasmo), e altre opere insipide comeZebraman.
In questo film del 2004 (tratto da una serie cult televisiva giapponese), il tocco di Miike soccombe all’intrattenimento per famiglie, dove raramente si riesce a riconoscere un tentativo di andare oltre, di esplorare la forma, le possibilità di delirare, di andare lontano dal conformismo più banale. Non è certamente il primo Miike per bambini che vediamo (lo è a suo modo Yokai Daisenso), ma se nel fantasy folkloristico l’autore era riuscito a sorprenderci ancora una volta con trovate grafiche all’estremo dell’erotismo più gratuito e perverso (i bambini non se n’erano accorti / gli adulti sono rimasti a bocca aperta), in Zebraman il raccontare è proprio al grado minimale, quasi svogliato.