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The 7th hunt

2009
Titolo Originale:
The 7th hunt
REGIA:
Jon Cohen
CAST:
Imogen Bailey
Jason Stojanovski
Matthew Charleston

Il nostro giudizio

The 7th Hunt: dall’Australia un horror senza pretese che finisce per somigliare a una versione particolarmente povera di Hostel.

È difficile recensire un film che non c’è. Mancano le parole per delinearne le caratteristiche, così come sfuggono le categorie linguistiche e grammaticali che, per quanto tirate, aiuterebbero a inserire il prodotto in una griglia di significati. Questa anonima pellicola australiana è una clandestina del concetto di cinema: non ha né le carte in regola per ritagliarsi un posticino all’ombra dell’horror, né i documenti necessari per accedere alla classificazione dei generi. Per dirla tutta, non possiede nemmeno la dignità di un serioso low-budget.

Eppure questo The 7th Hunt non è nemmeno un brutto film, nel senso che anche la bruttezza è un concetto astratto ed elastico che si adatta, muta, cambia a seconda delle epoche e dei contesti. La disarmonia di un’opera a volte raggiunge dimensioni così sgangherate da trasfondersi in eleganza, mentre la sua estraneità all’industria tradizionale può anche determinare mode, correnti e nuovi filoni estetici. In altri casi, come questo, è meglio stendere un velo pietoso e far finta di niente. Sarebbe forse lecito parlare di bruttezza oggettiva, ma anche qui la definizione è un po’ forzata poiché si rischia di dare per scontato un qualcosa che non lo è mai fino in fondo.

Quindi, come la mettiamo? The 7th Hunt è uno di quei film che ti farebbero arrabbiare se soltanto riuscissero a suscitare un’emozione. È un filmaccio sporco e lurido che, con le sue violenze reiterate, le sue atrocità a buon mercato, arzigogolate, fantasiose, sordidamente sensuali, mira alla nausea più che alla reazione emotiva. Ce n’è davvero per tutti i gusti, dalle siringate di sostanze allucinogene fino alle dita tagliate a colpi di cesoia.
L’abbuffata punta a far cassa, ma gli errori sono talmente grossolani che anche il più burino dei cinefili si sentirebbe imbarazzato a giustificarne scelte e personaggi. Ecco, i personaggi, appunto. Ci sono le vittime, prese a caso dal mucchio per fare della sociologia spicciola. Lo sfigato si veste da sfigato, il truzzo da truzzo, la darkettona da darkettona (o forse da emo, ma in un film del genere non sei sicuro di niente), e la cosa finisce lì. E poi ci sono i carnefici che, a parte un semi-sosia di Panariello, non hanno nemmeno la creanza di comportarsi da cattivi. Se ne stanno immobili, come in un museo delle cere, a prendere muffa.
Ma è anche tutto il resto che non funziona. Ti stanchi e ti annoi dopo i primi dieci minuti. Aspetti una virata allo splatter, invece è la moderazione a spadroneggiare. Speri in una scopata, e alla fine, tolto quel vaghissimo coté sadomaso che qua e là affiora, resti a bocca asciutta. La trascuratezza infetta ogni minuto, ogni istante, fino al bodycount finale quando, esaurita la rosa dei morituri, ci si rilassa con i titoli di coda.
The 7th Hunt offre un campionario di idiozia a livelli altamente professionali. Alla fine non puoi che stabilire una serie di impressionanti correlazioni con quei fenomeni da baraccone nostrano alla Gabriele Albanesi ed epigoni. Stessa recitazione, stessi sguardi imbalsamati, stesse macchiette prelevate dalla naftalina e subito riposte nel vecchiume dell’armadio. Ci vuol fegato a farsi piacere la sbobba, ma a quanto pare in tempo di guerra ogni buco è una trincea. Certo, definire cinema tutto questo sarebbe come definire letteratura un libro di Luciana Littizzetto. Poi, si sa, i gusti son gusti, e allora è dura prendersela con qualcuno.