Repo men
2010
Thriller, azione, fantascienza, organi meccanici e Jude Law che si squarta la carne lì lì sull’orlo di una scopata.
Blade Runner è stato la peggiore maledizione che potesse venire scagliata contro un certo cinema del futuribile. No, non è vero. Di molto peggio ci sono Lynch e l’idea del cinema del corpo, sul corpo, che entra nel corpo, che esplora il corpo, che esce dal corpo – come era avanti Benigni quando cantava il suo inno del corpo sciolto – e che, come degni satelliti, su corona di tutta la serie delle idiozie che ruotano intorno al concetto di carne: nuova carne, vecchia carne, carne in mutazione… Un cinema che ha pasturato e continua a pasturare centinaia di migliaia di milioni di scritti senza senso, inutili, terribilmente noiosi. Repo Men potrebbe essere un perfetto candidato a piazzarsi nella scia di quegli oggetti cinematografici buoni per tutte le stagioni, quei film dei quali si è legittimati a pensare e a scrivere tutto e il contrario di tutto e si avrebbe comunque sempre ragione o sempre torto, che è lo stesso. Nella sequenza finale, apice di ogni possibile masturbazione esegetica, i due protagonisti, un uomo e una donna, devono disattivare il controllo esterno (una specie di radar che permette la loro individuazione) su alcuni organi sintetici che hanno trapiantati dentro di sé; un cuore lui, un ginocchio e altra robetta lei.
Per compiere l’operazione si squarciano la carne (ahia…) e vi inseriscono, scavando per le viscere, tra i nervi, le ossa, i tendini e i muscoli, una specie di sonda. E lo fanno stando lì lì sull’orlo della scopata, a fior di labbra, in una lunga sequenza di totale gratuità che è elettrizzante se la prendiamo per quel che è, cioè una sequenza di totale gratuità, che non deve pagare obolo o pedaggio a niente e nessuno. Ma che diventa sinistra, nella misura in cui si espone al rischio di diventare oggetto e cavia di tremende sperequazioni e vivisezioni esegetiche.