Nobel Son
2007REGIA:
Randall Miller
CAST:
Alan Rickman
Bryan Greenberg
Shawn Hatosy
Un buon ritmo, degli attori non troppo stonati, una storia che si segue fino alla fine: Nobel son, il nuovo film Randall Miller.
Un film spiritato. Parte, frena, rigira, accelera, crolla, sopravvive. Quasi naif nel suo caracollare tra un genereed un altro. Rapimento, grande truffa, dramma, commedia sentimentale. Si fa a fatica a trovare un mood, un’unica luce. Non certo un demerito essere così camaleontici, porre strati di sapori che si lasciano gustare anche finimente.
Un buon ritmo, degli attori non troppo stonati (sempre eccelso Rickman), una storia che si segue fino alla fine. Un tema capitale per la cultura americana come quello tra padre e figlio. Il primo, grande uomo di scienza, il secondo, uno scavezzacollo che rimorchia la prima maldestra poetessa di turno. Ingiustizia, soprusi, rivincite. C’è davvero di tutto in questo pentolone. Il rischio è che nulla venga approfondito, tutto sia accennato. La scelta di essere ellittici e ibridi è sempre sul filo di mandare tutto in frantumi. Piccoli mondi a sé che rimangono in piedi perché in fin dei conti non ci si aspetta molto.
E’ il luogo dell’azione, delle introspezioni lasciate ad altri film, del divertimento contemporaneo di tirare in mezzo tutto e alla fine dei giochi non fare i conti con nessuno. Né con lo scontro edipico, né con la tragedia della perdita, né con il senso di umiliazione. Neanche i personaggi si scontrano più, ognuno risolto a modo suo. Felice o solitario. L’unico modo per (sopra)vivere, sembra raccontarci l’opera, è quello di pensare a sé stessi. Di mezzo ci scappano anche delle teorie cannibalistiche e un Danny de Vito in stato ossessivo-compulsivo. Con il giusto sguardo, fa anche ridere.