Carnalità
1974
Carnalità: una variazione completamente erotica del thriller all’italiana, diretta dal grande caratterista Alfredo Rizzo.
Se nemmeno “stuprato” da continue sessione di pornografia – brani girati, a quel che sembra, sugli stessi set con controfigure – Carnalità appare spregevole, allora vuol proprio dire che il film di Alfredo Rizzo non è materiale da dimenticatoio. Anche se oggi è difficile vederlo nella versione italiana d’origine e, paradossalmente, si fa meno fatica a recuperare la succitata french version (Obsessions Charnelles), che con l’hard tocca quasi i 100 minuti di durata, contro i 90’ scarsi di partenza. Gli amanti del thriller indigeno lo considerano poco, a causa dell’impianto giallo-complottista, stile Lenzi vecchia maniera – ma è verosimile che Rizzo non avesse visto manco un film, di Lenzi – dove si abdica totalmente alla violenza e al sangue, raggrumando invece la narrazione intorno all’intrigo e al sesso. Nel raggio del giaciglio d’agonia della povera Fiorella Galgano (oggi personalità di rilievo nel mondo della moda italiana), avvelenata giorno dopo giorno con diabolica meticolosità, non si fa altro che scopare: Jacques Stany (sui titoli Stanyslave), il marito, capitano d’industria che tutti chiamano “Professore”, è di quelli che credono che qualunque donna va bene, purché respiri. Il personaggio è lì lì a un pelo (pardon…) dal diventare una figura comica, paradossale, ma Stany – attore tanto eccellente quanto poco considerato – sa mantenersi al di qua del discrimine del ridicolo. Anche la Benussi, tra una fellatio e l’altra all’amante, si comporta da ottima diabolica. Talché il plot può contare su due interpreti principali particolarmente azzeccati.
Che diventano tre con l’entrata in scena di Erna Schurer (molto bella, più dell’usuale) che alcuni recensori, evidentemente dotati di particolari poteri mantici, sostengono essere prevedibilissimo dove debba andare a parare, nell’economia gialla della storia. In realtà, dando a Rizzo quel che è di Rizzo e senza fare troppe rivelazioni, si può riconoscere a Carnalità il primato nell’immaginare che una vendetta tremenda vendetta (del genere che Dante Alighieri definiva per analogia) possa essere consumata nel più piacevole dei modi per la vittima. La sceneggiatura di Carlo Veo, che firmerà gran parte dei copioni di Rizzo regista, possiede dunque una sua originalità, che appaiata al cast e all’uso accorto dell’ambientazione (tutta la seconda parte marittima ha come cornice il suggestivo castello Odescalchi di Santa Marinella) rende il film una visione tutt’altro che inutile. Le stonature non mancano, sia chiaro: Mario Pisu e Pupo De Luca con i loro siparietti brillanti farebbero bene a mancare e, per dirla tutta, la risoluzione del delitto della Galgano è misero. Ma il karma si chiude decisamente sul segno più.
Carnalità non ha come ultimo dei meriti quello di avere messo in luce una lussureggiante Sonia Viviani, che nella sequenza in cui prende il sole a petto nudo, a prua dello yacht di Stany, fomenta lo sturbo. Di qui e dai Guappi di Squitieri, la bellissima sarebbe volata direttamente nella sua stagione d’oro, che ebbe il fulcro in Yuppi Du. Una starlettina da notare, per il puro pregio fisico, è la bionda segretaria di Stany, identificabile in certa Michelina Cavaliere che con Carnalità avrebbe fatto due film in uno, il primo e l’ultimo. Il contorno dei caratteristi è quello stabile nelle regie di Rizzo, dal fratello Carlo, al già citato Mario Pisu, a Luca Sportelli nel cammeo di un gelataio. Giù il cappello, decisamente, per lo score di Carlo Savina che coopera a rendere degno di memoria il film almeno per un cinquanta per cento.