After Life
2010
After Life è un film del 2010 diretto da Agnieszka Wojtowicz-Voisloo
Christina Ricci in abito rosso sangue si sveglia sul tavolo di un obitorio e Lian Neeson, il proprietario delle pompe funebri locali, le rende noto il fatto che lei è morta e deve accettare la transizione dal mondo dei vivi a quello dei più. Neeson ha il dono di poter interagire con coloro che si apprestano ad affrontare il grande varco, questo almeno è ciò che dice. Mentre la povera Ricci che non riesce ad andare oltre le quattro mura della camera mortuaria ove è rinchiusa, comincia a pensare – e lo spettatore partecipa del suo amletico dubbio – di poter essere magari ancora viva e che il becchino sia una specie di maniaco fuori di testa. Signore e signori, ecco a voi un film torbido e morboso sui temi dell’eros e della morte. Un horror/thriller che riflette su una questione piuttosto feroce: tirare le cuoia o meno, in questo mondo.
Di ragioni per pregiarlo, After Life, ne trovo sostanzialmente due, una di carattere bassamente sensuale, perché la regista inquadra il corpo nudo (solo la metà superiore, però) di Christina Ricci come se lo stesse carezzando e perché si vede e sente che questa Wojtowicz-Voisloo (giovane, non bellissima ma un tipo: nelle interviste dice che tra i suoi guru cinematografici riconosce Argento e Polanski) è interessata alle zone morbide e morbose dell’eros, oltre a essere chiaramente una feticista, con buona sensitività coloristica: guardate quell’abito fiammeggiante, quelle calze nere di nylon sfilate e reinfilate, con sottolineatura, al cadavere. L’altra ragione è più alata e riguarda il momento di dialogo tra Neeson e la Ricci, in cui lui le domanda che cos’è, cos’era, la sua esistenza, perché le dispiaccia tanto morire e cosa voleva dalla vita, in fondo in fondo.
La piccola Christina dagli occhi grandi, considera che non sta lasciando niente se non la ripetizione meccanica degli atti, ogni giorno uguali a se stessi, ogni giorno gli stessi, ogni giorno ugualmente inutili… La mia sintesi banalizza, ma nel dialogato della Wojtowicz-Voisloo c’è traccia di qualcosa che si eleva di molto dalla media delle cretinate filosofiche che si ascoltano in film del genere. Poi, è chiaro, ci sono anche tutti gli orpelli che interessano il pubblichetto, i misteri sui quali si aprono i dibattiti nei forum: il senso del twist finale, le domande irrisolte se il bambino – come il famoso uccellino dell’indovinello – sia vivo o morto, eccetera, eccetera.