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Cold

2011
Titolo Originale:
Cold
REGIA:
Corey Richards, Anson Fogel
CAST:
Corey Richards
Simone Moro
Denis Urubko

Il nostro giudizio

Cold è un film del 2011 che racconta l’incredibile impresa di tre alpinisti che rischiano la vita per scalare in pieno inverno una montagna di oltre 8000 metri.

Si riflette spesso e male sul cinema estremo, identificandolo con i tentativi più bizzarri di legarlo a una presunta realtà empia e selvaggia, come nel caso dei mondo movie e dei cannibalici, oppure, anche solo attraverso le armi della fiction, spingendo ai limiti le soglie del rappresentabile, come negli horror più radicali. Forse, però, il cinema estremo autentico è quello che aderisce perfettamente all’esperienza di chi lo realizza.
A questo abbiamo pensato vedendo Cold, film realizzato dall’alpinista americano Corey Richards che insieme al bergamasco Simone Moro e al kazako Denis Urubko ha scalato gli oltre ottomila metri del Gasherbrum II, anche conosciuto come K4. I tre (folli o eroi, fate voi) sono saliti in inverno, primi al mondo. Altro che found footage: una sola macchina da presa che segue a distanza l’avanzare dei due soci nella neve, nella nebbia, in una atmosfera rarefatta senza bisogno di effetti speciali. O meglio: esiste ed è visibile nel mediometraggio (dura poco meno di mezz’ora) un lavoro di post produzione (di Anson Fogel) simile per capirci a quello di 127 Hours di Danny Boyle, ma riguarda solo il finale, quando Richards pare sul punto di morire e nel montaggio “postumo” rivede se stesso e i propri cari in altre circostanze.

Per il resto, è tutto vero. A 8000 metri e a 50 gradi sotto zero (le sequenze sono inesorabilmente scandite dalle mete raggiunte, sempre più alte; con relative temperature, sempre più basse, fino a -51) gli uomini si muovono come in ralenti (ma sempre a 24 fotogrammi al secondo) e persino le fisionomie cambiano. I crepacci (nei quali, a turno, cadono tutti e tre con effetti anche comici, come spiega Simone Moro in una delle pause in tenda, all’inizio) ma anche i paesaggi incredibili, comunicano allo spettatore il senso di un’impresa che comporta sofferenza autentica e una irrefrenabile energia. In chi la vive e la filma, e un po’ in chi la vede e basta. Cold racconta di come il cinema possa farsi testimone senza finzioni della sfida tra l’uomo e il proprio limite, dimostrando come la montagna possa essere interpretata anche attraverso l’arte.

Il fattore N:
(dove come quando soffia lo spirito nocturniano)

A un certo punto del film Corey Richards, che ha sempre ripreso in soggettiva, cade in ginocchio nella neve stremato e gira la macchina da presa verso la sua faccia, orribilmente congelata e in lacrime. Una scena letteralmente agghiacciante.