My soul to take
2010
Dopo Nightmare nuovo incubo (1994), con My Soul to Take Wes Craven torna alla direzione di un film nella duplice veste di regista e sceneggiatore. Dopo ben due anni di gestazione, il film approda nelle sale l’8 ottobre 2010, mentre l’8 febbraio 2011 la Universal picture ne rilascia il DVD e il Blue-Ray. My Soul to Take racconta della follia omicida di Abel Plankov (Raul Esparza) ai danni della sua famiglia. Dal massacro ne escono incolumi la figlioletta Leah (Emily Meade) e il nascituro Adam (Max Thieriot). Posseduto da un’entità demoniaca o forse semplicemente all’apice della sua infermità mentale, durante il trasporto in ospedale, Abel uccide l’intera equipe medica e scappa lungo il fiume. Quella stessa notte avvengono 7 parti prematuri, per i più superstiziosi tutte reincarnazioni delle anime di Plankov. Dopo 16 anni il demone ritorna per riprendersi gli spiriti a lui sfuggiti quella notte lontana.
Craven imprime, senza dubbio, il suo marchio inconfondibile all’opera, un marchio che però si circonda di vecchi clichè, risultando forse un po’ troppo invecchiato e prevedibile: il cattivo che insegue un gruppo di giovani più o meno innocenti.
Parecchie sequenze assomigliano più a una lezione di storia e critica del cinema seguita dagli ultimi banchi, che ad un film horror. Corse improbabili lungo il bosco, visioni a metà fra l’inquieto e il catartico, inseguimenti in cui non esiste un inseguitore, tutti questi dettagli vanno a costituire le grandi falle del film. Tuttavia, l’autore non si tira indietro, in certe scene, dallo sciorinare le sue capacità registiche. Ne è un esempio la scena finale in cui il gioco dell’assenza e della sottrazione vale più di mille presenze, creando così la suspance giusta per far sussultare lo spettatore insieme al protagonista. Purtroppo, per gran parte del film, la storia è costellata da troppi personaggi posticci, tanto da dare l’idea di essere stati concepiti al solo scopo di buttarli nella mischia.
Ma, come sempre accade nei film di Craven, anche qui il sottotesto sociologico è abbastanza chiaro. La possessione è la chiave di lettura per interpretare ciò che si cela dietro l’apparenza e, soprattutto, dietro le istanze narrative, ovvero, il disagio sociale contemporaneo. Questo malcontento, adesso, incarna le sembianze della possessione, intesa come annullamento delle capacità cognitive e razionali, che riduce la vittima a mera marionetta. Privato del raziocinio, l’uomo è come stordito, neutralizzato, completamente in balia di forze che lo sfruttano e lo adoperano piegandolo ai loro scopi. Realtà, per un conto o per un altro, molto vicina alla nostra, ne replica certe dinamiche e certi meccanismi. Basta pensare a quanto fortemente labile è diventata la mente umana, assorbita e fagocitata dalla stessa società che essa ha creato e che da essa è costituita. Il simile rincorre quindi il simile. Così come per Abel Plankov, anch’esso vittima supina dell’entità demoniaca, è la legge del più forte a prevalere: che vince domina l’altro appropriandosene completamente e sfruttandolo a suo gusto. Curiosa analogia con le vicissitudini produttive dell’opera, se si pensa al fatto che Craven aveva ideato, scritto e diretto il film in 2D, ma che, per una questione di “logica economica dell’intrattenimento”, la pellicola è stata riconvertita in 3D.