The Lazarus Effect
2015
The Lazarus Effect è un film del 2015, diretto da David Gelb.
Un film su una scienziata morta, Olivia Wilde, che grazie a un siero sperimentale torna in vita incazzata al cubo e con poteri telecinetici tostissimi. Cioè Herbert West che rianima Carrie. Detto così, The Lazarus Effect potrebbe anche essere una chicca. Peccato, non lo è. Gli scienziati Frank (Mark Duplasse) e Zoe (la Wilde), nei laboratori dell’Università di Berkeley, creano una soluzione in grado di rigenerare il tessuto cerebrale morto. Sui cani sembra funzionare, anche se il redivivo Rocky è stranamente apatico, triste e per nulla affamato. I test rivelano, poi, un bizzarro aumento del numero delle sue sinapsi, come se il siero non solo rigenerasse i tessuti, ma ne favorisse lo sviluppo e la riproduzione. Una losca multinazionale del farmaco, venuta a sapere del siero, requisisce il loro lavoro e li fa cacciare dall’università: Frank non ci sta, convince Zoe e i suoi assistenti – Niko, Clay ed Eva, videoamatrice col compito di filmare gli esperimenti – a intrufolarsi nel laboratorio e testare nuovamente il siero su un altro cane. Stavolta le cose vanno male, e Zoe ci resta secca: Frank non esita a riportarla in vita.
Dapprima apatica come Rocky, Zoe sviluppa velocemente capacità mentali – legge i pensieri altrui, muove oggetti a distanza, induce allucinazioni – ed è particolarmente suscettibile, perché dice di essere stata all’inferno, pur avendo sempre condotto una vita morigerata, e non le è piaciuto affatto. Si sente tradita, non sa più di chi fidarsi, anche i suoi amici le sembrano minacciosi. Così dà sfogo ai suoi nuovi poteri: taglia la corrente, blocca le porte del laboratorio e gioca come il gatto col topo con i suoi ex amici. Eppure, il suo sadico divertimento non sarà fine a se stesso… The Lazarus Effect, opera seconda del giovane David Gelb dopo il documentario Jiro e l’arte del sushi (2011), quanto meno ci prova a imbastire qualche discorso interessante su vita, morte et similia. Oltre a domande classiche tipo “la morte è solo la conseguenza di una reazione chimica o c’è dell’altro?”, più sfiziose sono invece altre questioni: se i defunti vogliano davvero tornare in vita; e, soprattutto, che fine fanno le loro memorie nel processo di rianimazione.
Stando a quanto dice Zoe, l’inferno è rivivere il peggior momento della propria vita all’infinito, un incubo in loop dal quale non ci si può svegliare. Nel suo caso, l’incubo è una citazione da Shining. Da piccola, Zoe ha assistito, impotente, alla terribile morte dei vicini di casa, intrappolati nel loro appartamento durante un incendio, che Gelb risolve visivamente replicando l’inquadratura kubrickiana delle gemelle nel corridoio, con l’aggiunta di fiamme e il montaggio veloce di bambole che si squagliano col calore. Cosa rappresentativa del grosso problema di The Lazarus Effect, ovvero affogare gli spunti meritevoli in un mare di trucchetti scontati e citazioni risapute (Carrie, Re-Animator, Fury, si anche Cujo…). Qualche ripresa da telecamere di sicurezza, musiche elettroniche monotonali, luci che vanno e vengono così da favorire i soliti spaventi “telefonati”, con i brutti e cattivi che sbucano alle spalle di ragazzotte piacenti in canottiera (Sarah Bolger, che è caruccia ma alla Wilde non porta, come si suol dire, nemmeno le scarpe). Almeno ha il pregio di durare poco (83 minuti), il che permette di mantenere un certo ritmo.