Vampyros Lesbos
1970
Vampyros Lesbos è un film del 1970, diretto da Jess Franco.
“Film-happening” (la definizione è di Alain Petit), improvvisato su un canovaccio ridotto a una manciata di appunti e girato tra il 27 aprile e il 30 maggio 1970, Vampyros Lesbos è titolo imprescindibile per la comprensione della filmografia di Jess Franco e seminale per una certa tipologia di cinema di genere anni ‘70, ovvero quel filone “lesbovampirico” che farà la fortuna, fra gli altri, di un regista per alcuni versi affine a Franco, Jean Rollin. La messinscena barocca, lucida e visionaria al tempo stesso; le atmosfere oniriche e surreali; l’equilibrio fra creatività ed esigenze (s)exploitation, softcore e film d’arte, rendono Vampyros Lesbos un’esperienza sensoriale unica. Sin dall’inizio, Franco ci introduce in una sorta di dimensione parallela, utilizzando una narrazione estremamente frammentata, frastagliata, dai collegamenti sintattici liberissimi, non di rado inframmezzata da inserti ipnotici e affidata a un montaggio “psichedelico”. In omaggio certo alla cultura pop in voga alla fine degli anni Sessanta, ma con un piglio affatto originale. Come lo è, del resto, il modo in cui Franco filma gli interni, sovente illuminati in rosso e impreziositi da scaloni escheriani, e le lussureggianti location turche.
La capacità del regista di creare una vera e propria sospensione degli avvenimenti, giocando sulla dilatazione dei tempi filmici e su bruschi salti narrativi, allontana la diegesi di Vampyros Lesbos dalla tradizione orrorifica: gli eventi si dipanano seguendo una logica interna, disarticolata, onirica, improntata a un insistito simbolismo (l’aquilone, lo scorpione, la farfalla), e la figura di Irina, vampira che si bea della luce del sole, dell’acqua, della vita, costituisce non solo uno personaggi femminili più riusciti dell’universo femminile franchiano, ma anche il più evidente segno di ribellione alle pastoie del genere dopo l’esperienza negativa del Conte Dracula con Towers. Vampyros Lesbos deve non poco del suo fascino alla carismatica Soledad Miranda: i suoi sguardi, i suoi movimenti, le curve del suo corpo servono alla perfezione la visione della sensualità e dell’erotismo secondo Franco, sintetizzata dalla celebre performance iniziale nel night, cui gli spettatori assistono fra l’eccitazione e il turbamento.
Ma anche nelle scene in cui Irina si spoglia lentamente di fronte allo specchio, per poi rotolarsi sul pavimento vestita di una sola sciarpa di seta rossa, o nelle effusioni lesbiche fra lei e Ewa Strömberg, Franco rivela il suo personalissimo tocco: zoomate ininterrotte e panoramiche ravvicinate lungo i corpi e i volti delle protagoniste, accompagnate dalla morbida, seducente colonna sonora lounge. I fan ritroveranno l’usuale cammeo del regista (il personaggio si chiama Mehmet, come nel semiremake anni ‘80 Macumba sexual) e l’ennesima incarnazione di Morpho, qui silenzioso servitore della bella vampira (l’attore è José Martinez Blanco). Gli altri non avranno occhi che per quest’ultima: e come dar loro torto?