Stalker
2010
Stalker è un film del 2010, diretto da Martin Kemp.
Si, diretto da Martin Kemp, che è proprio il Martin Kemp degli Spandau Ballet e non un omonimo. Ma la notizia per un nocturniano non è tanto questa, di fronte a Stalker, quanto che si tratti di un rifacimento o meglio sarebbe dire un ripensamento, una reimmaginazione (reimagining la chiamano in America) della Casa sulla collina di paglia, aka Exposé, il morbosissimo thriller inglese del 1976 con Udo Kier, Fiona Richmond e Linda Hayden finito nella gerla infame dei video-nasties. Ma nessuno lo sa, nessuno conosce questo Stalker, che non deve avere avuto una vita distributiva molto semplice e oggi, a distanza di cinque anni dalla realizzazione, esiste solo in un dvd americano e in uno inglese. In Italia, manco a parlarne ma nemmeno altrove. Va subito detta una cosa: se a qualcuno corre immediatamente la saliva pensando a quel che succedeva nel film originario, in termini di sangue e di sesso, soprattutto grazie alle performances della formosissima e conturbante Fiona Richmond, è bene si disilluda. Perché se la razione di gore imbandita in Stalker si mantiene ottima e abbondante, purtroppo, quanto a sesso, delle sodomie violente o delle libidini saffiche che venivano offerte da James Kenelm Clarke in Exposé, nel film di Kemp non resta nemmeno l’ombra. Anzi, la dimensione erotica proprio è bandita.
L’idea dell’ex Spandau Ballet – che ha scritto la sceneggiatura di Stalker insieme a Jonathan Sothcott (produttore del più recente film di Kemp, Top dog) e a Phillip Barron – per avvicinare e nello stesso distanziare l’illustre modello del 1976, è stata di cambiare il sesso del personaggio principale della faccenda: allora si trattava di uno scrittore plagiario interpretato da Udo Kier, adesso si tratta di una romanziera scossa di nervi, che dopo un primo grande successo editoriale è entrata nel tunnel del disagio psicologico, che forse è ancora una definizione eufemistica per le allucinazioni e i sogni tremendi che la attanagliano, durante i quali Paula – così si chiama – fa sesso con un uomo avvoltolandosi nel sangue: l’intuizione è buona e così pure la realizzazione, i corpi rossi tra le coltri candide. L’attrice è Anna Brecon, una televisiva, gracilina, non bellissima, che fuori dall’Inghilterra è difficile qualcuno conosca. Fatto sta che l’editrice di Paula (Jennifer Matter, una bionda aggressiva) le consiglia di prendersi un po’ di pace e tranquillità, allontanandosi dal mondo in una vecchia casa di compagna, dove poter attendere alla scrittura dell’atteso secondo best seller. Paula obbedisce. Ma nella old dark house, mentre esplora le cantine, si squarcia subito una mano con un chiodo: è il primo segnale anticipatorio di qualcosa che è nell’aria per succedere.
E succede, infatti, con l’arrivo nel posto della graziosa Linda (Jane March: lei non ha bisogno di presentazioni), che è lì per aiutarla a scrivere e a darle una mano (absit iniuria) per tutto il resto. Nel gioco dei rimandi a Exposé, Linda sarebbe ciò che era Linda Hayden (e il nome l’avranno scelto apposta); la quale Linda Hayden invece fa un cammeo in Stalker nella parte di una domestica della magione di campagna – e sembra guardare tutto e tutti dall’esterno come se raffrontasse ogni sequenza a quello che aveva fatto lei trentacinque anni prima. In breve: il rapporto tra Paula e Linda assume una piega strana, conflittuale, e la seconda va man mano prevaricando la prima, a cominciare dalla scrittura del nuovo libro. Non si può dire una parola di più, perché da un certo momento in avanti esplode una tempesta di sangue e di cruenza niente affatto male, che coinvolgerà anche uno psichiatra di colore che ha in cura Paula (Colin Salmon). Tirando le somme, Stalker va oltre il livello di un’operazione corretta e giudiziosamente omaggiante – pur nella deficienza del sesso – l’archetipo. Kemp infonde al film una personalità non ovvia, non banale, non inutile: lo delinea come un lungo e torpido serpente scuro nel cui ventre avvengono processi metabolici potenti, con il risultato di secernere un veleno molto efficace. Non è impossibile capire dove vadano a parare le premesse che abbiamo esposto, dicendo che la March fagocita Anna Brecon, ma il twist della fine lascia ugualmente scossi. Ed è un ottimo risultato, considerando da quale cult tutto questo abbia preso le mosse.