Ritual – Una storia psicomagica
2013
Ritual – Una storia psicomagica è un film del 2013, diretto da Giulia Brazzale e Luca Immensi.
Nello sterminato panorama dell’indie italiano, Ritual – Una storia psicomagica, di Giulia Brazzale e Luca Immesi riveste un ruolo di primo piano: uscito in sala e venduto in tutto il mondo, è stato realizzato con notevoli mezzi tecnici, una regia solidissima e un cast di prim’ordine. Vedere Ritual significa immergersi in un universo visivo e narrativo non rinchiudibile in una categoria: è un thriller (para)psicologico, un dramma psicanalitico, una favola nera che affonda le proprie radici nell’universo epicorico delle credenze popolari. Ispirato al libro di Jodorowsky La danza della realtà, è un film che attinge dalla psicomagia del medesimo (in sintesi, guarire col potere della suggestione): ha dei momenti surreali ma non è un film surrealista, c’è la follia allucinatoria di Polanski, le recitazioni “urlate” alla Zulawski, il gotico padano di Pupi Avati (ripreso anche da Lorenzo Bianchini, un altro fra i maestri dell’indi italiano), il tutto inframmezzato da inquadrature video-artistiche. Scritto dai due registi con la supervisione del polanskiano Jeff Gross, ha come protagonista Lia (Desirée Giorgetti), una ragazza fragile segnata da alcuni traumi infantili: non la aiuta di certo il suo rapporto sadomasochista con Viktor (Ivan Franek), un uomo violento e possessivo che la sottomette e la costringe ad abortire. Dopo un tentato suicidio, si trasferisce dalla zia Agata a Mason, il paesino veneto dove ha vissuto la sua infanzia: la donna è una guaritrice che cura i malanni con atti psicomagici, vedova di un guaritore cileno (Jodorowsky) che le appare ancora in sogno per consigliarla. Lia, che nel frattempo riceve le misteriose visite di due bambini e di una donna che canta, decide di sottoporsi lei stessa a un rito, ma il precario equilibrio è sconvolto dall’arrivo di Viktor.
Ritual si evolve senza soluzione di continuità dalla prima parte più cittadina, perversa e “geometrica” alla seconda (maggioritaria) ambientata nel folklore popolare, in cui si mescolano continuamente epifanie magiche (anche con dialoghi e filastrocche in dialetto veneto) e turbe psicanalitiche. Trait-d-union sono i traumi della protagonista: già nei colloqui con lo psicologo (il fulciano Cosimo Cinieri), Lia racconta le esperienze che l’hanno segnata da piccola – la leggenda della “chiesa maledetta” e la comparsa delle mestruazioni, che la ragazzina ha associate, rimanendo traumatizzata; la gravidanza, l’essere donna e la maternità mancata sono le sue turbe mentali (non a caso, spesso l’attrice è ripresa in posizione fetale), che esplodono poi in una serie di visioni oniriche. Desirée “Morituris” Giorgetti dimostra di essere una grande attrice, con la sua marcata espressività, un viso e un corpo che parlano ma senza mai scadere nell’eccesso. Impressionante è la rappresentazione psico-drammatica in cui interpreta se stessa da bambina e la zia (sdoppiandosi anche come voce), o l’incubo in cui si contorce in fondo a un corridoio, oppure ancora la crisi isterica sul letto. Altrettanto marcata è l’interpretazione di Ivan Franek (Tulpa), accento straniero e volto inquietante, così come efficace è Anna Bonasso nel ruolo di zia Agata.
Ritual è una fusione panica e simbolica di folclore, surrealismo e psicanalisi, che esplora gli abissi della mente e dell’inconscio, in un’ideale ritorno alle origini socio-mentali. Come in tanti film di Polanski, la protagonista è vittima di persecuzioni e visioni (tenute in sospeso tra sovrannaturale e allucinazione, fino al drammatico finale) che la portano alla follia. I bambini “Salbanei” e l’Anguana sono creature del folklore popolare che la Giorgetti vede materializzarsi in conseguenza ai suoi traumi – alla base c’è sempre l’aborto, il “bambino rapito”, che zia Agata tenterà di curare con un atto psicomagico. Il film (approvato dallo stesso Jodorowsky) ne contiene diversi: il “parto” simulato con un frutto, un uomo “curato” attraverso un fegato animale, le ceneri di una foto bevute insieme al vino. Estremamente raffinato nelle location e nella fotografia, Ritual può contare sulle musiche ipnotiche di Moby e di altri autori, fra cui Patrizia Laquidara (l’Anguana) col suo brano Dormi putin – malinconico, inquietante e onirico come tutto il film.