Wayward Pines
2015
Wayward Pines è una serie tv del 2015, andata in onda per la prima volta in Italia nel 2015, ideata da Chad Hodge.
Ehtan Burke (Matt Dillon) è un agente dei servizi segreti che viene inviato a Wayward Pines, immaginaria (nella realtà, non nella fiction) cittadina nell’Idaho, alla ricerca di due agenti federali scomparsi, tra cui Kate Hewson (Carla Gugino), con la quale cornificava la moglie. Ma niente, a partire dal ricovero forzoso all’interno di una struttura ospedaliera, sotto le fin troppo premurose cure dell’infermiera Pam (Melissa Leo), quadra e gli abitanti sembrano nascondere un segreto, celato in un passato di cui non possono parlare. La verità è oltre il muro elettrificato e invalicabile che circonda il paese, dal quale nessuno, però, se ne può andare, pena una sommaria esecuzione su piazza pubblica. A Wayaward Pines ritroverà, a sorpresa, la propria famiglia, che aveva lasciato proprio per il viaggio di lavoro, e Kate, impiegata in un negozio di giocattoli. È questa, in breve, la sostanza di cui è fatta la serie-evento Wayward Pines voluta fortemente da M. Night Shyamalan, ex-enfant prodige al quale oggi, ad Hollywood, non affiderebbero nemmeno le riprese della comunione della propria nipote, all’ironico grido di “Ci sto, a meno che non siano tutti morti” e basata sulla trilogia, di quasi mille pagine totali, firmata da Blake Crouch.
Partendo dal romanzo del 1895 La macchina del tempo, di cui è una sostanziale riproposizione, e passando per serie seminali come Il Prigioniero e Twin Peaks (verso cui Crouch stesso ammette un debito ai limiti del fanatismo), fino ovviamente a Lost, Wayward Pines è, senza ombra di dubbio, una ventata di aria fresca in un panorama televisivo vitalissimo e di qualità che rischia, però, spesso riuscendoci, di cadere nella trappola dell’autocompiacimento. E se merito indiscusso va proprio a Crouch, capace di mescolare con grande abilità le numerose suggestioni transmediali, dimostrando una padronanza di scrittura, figlia legittima di una sincera formazione basata sui modelli di cui sopra, altrettanto merito va a Chad Hodge (All About Us, Runaway – In Fuga, The Playboy Club), ringraziato dallo stesso Crouch in apertura del secondo volume, che fa, bene, l’unica cosa che ogni buon sceneggiatore dovrebbe fare nel trasporre un libro, ovvero piega la materia letteraria alle esigenze del nuovo media, dando vita a qualcosa di uguale e, al tempo stesso, di completamente diverso. Compattata in un blocco di dieci puntate Wayward Pines (la serie) cattura con ancora più efficacia le inquietudini di una situazione paradossale e l’humus sociopolitico di cui è impregnata la storia, finendo per evitare il dolce naufragar narrativo che aveva caratterizzato, appunto, prima Il Prigioniero e, poi, Twin Peaks e Lost.
E se in queste ultime a farla da padrone era la componente surreale e sovrannaturale, in Wayward Pines è quella – dichiaratamente e senza dubbio – scientifica, materia pericolosa messa in mano agli uomini sbagliati. Proprio per questo l’”esperimento” perpetuato dall’ossessionato dottor David Pilcher (Toby Jones) non sembra così difforme da quello che portava avanti il personaggio di John Hammond (Richard Attenborough) in Jurassic Park, con i dinosauri che qui diventano gli esseri umani provenienti da un passato che li ha visti estinguere nella loro forma evolutiva conosciuta e il futuro diventa il loro nuovo presente. E come nel cult spilberghiano, basato, guarda caso, sempre su una solida materia narrativa (l’omonimo romanzo di Michael Crichton), un uomo si auto-investe del ruolo di Dio, di Creatore. Ed è per questo che Wayward Pines, rispetto ai suoi precedenti, fa ancora più paura.