Mission Impossible – Rogue Nation
2015
Mission Impossible – Rogue Nation è un film del 2015 diretto da Christopher McQuarrie.
Non ci fosse stato Fury Road, saluteremmo Mission Impossible – Rogue Nation come action dell’anno, nell’attesa che il novembrino Spectre di Sam Mendes ci smentisca. È curioso che i due più rinomati franchise dello spionaggio celebrino il nemico sin dal titolo, portando all’apice la lezione del maestro Alfred Hitchcock secondo cui un film è tanto più riuscito quanto più riuscito, e definito, è il personaggio del cattivo. E se i cattivi sono numerosi, un’internazionale del terrore liquida e ubiqua, beh, bisogna che siano individuati con tutti i mezzi possibili, dal nome in giù. Christopher McQuarrie tuttavia derapa: è un istrione e nella duplice veste di regista e sceneggiatore lascia in bozza i cattivoni per cimentarsi in una colossale, palpitante celebrazione di Ethan Hunt. Tom Cruise ovviamente, morto, risorto, angelicato. Sin dai rumors che hanno preceduto l’uscita del film l’enfasi era sul Cruise rischiatutto, quello che si aggrappa all’aereo, corre in moto, diventa campione d’apnea, rifugge le controfigure, e la value proposition è stata pienamente rispettata.
In 131 minuti di Mission Impossible – Rogue Nation Lui scampa ad attentati, si arrampica, si libera, schiva proiettili, si immola, inventa, memorizza, cambia volto cambia avventura come un Big Jim Mattel, stessi capelli inamovibili, stesso fisico plastico, stesso occultamento della parte più pudibonda del corpo (dell’attore, del mito). È Tom in piena sarabanda, una successione di momenti chiave che scavalcano e coartano le ragioni dell’intreccio, come fosse un ritorno all’eponima spy story televisiva; poco importa quale sia il macguffin che origina il tutto o la parte, basta che l’output sia una gioia per gli occhi. E lo è, eccome se lo è. La caccia all’uomo all’opera di Vienna, in piena Turandot: uno spettacolo. L’inseguimento moto-auto-moto in Marocco: uno dei migliori di sempre. Cruise e Pegg nell’abitacolo che si accartoccia: come lo schianto realissimo di Fabio Testi in Il grande racket.
L’intromissione nel datawarehouse subacqueo, poi: celestiale. Una visione stupefacente (astonishing!) moltiplicata da un profluvio di punti di vista, una moltitudine di macchine da presa che McQuarrie alterna in montaggio sincopato, come molteplici sono i comprimari e tutti perfettamente in parte, dal pupillo Simon Pegg, alla Rebecca Ferguson Venere acquatica simil Ursula Andress, a Baldwin Rhames e Renner. Poco spazio resta per il Sindacato, la Nazione Bastarda del titolo, il solito boss sadico con il solito sicario energumeno ed una pletora di scagnozzi sacrificali, questo è uno dei limiti di Mission Impossible – Rogue Nation, al pari della paradossale asetticità delle location (Londra, Vienna, Rabat, Agadir) così fintamente spopolate da sembrare green screen/set di cartapesta. Dispiace anche che in un’opera così minuziosamente archeologica (dello stile, del genere) manchi l’apostrofo rosa, la passione, il bacio romantico tra l’eroe e l’eroina, ma questo non è un limite, è il marchio di fabbrica della coppia McQuarrie-Cruise, come già in Jack Reacher, niente sesso, nessuna seduzione. La religione non lo consente.