Non violentate Jennifer
1978
Non violentate Jennifer (I Spit on Your Grave) è un film del 1978, diretto da Meir Zarchi.
Per poter lavorare con tranquillità alla stesura di un libro, la giovane e avvenente Jennifer affitta una villa di campagna. Quattro ragazzotti la prendono però di mira e, dopo averla sequestrata, la picchiano e la violentano a turno. Una volta ripresasi dallo shock, Jennifer decide di farsi giustizia da sola. Comincia così ad adescare sessualmente, uno per uno, i suoi aguzzini, facendo fare poi loro le più atroci delle morti… Preso di mira dalla crociata antiviolenza dei critici statunitensi Siskel e Ebert (che cercarono di boicottarne la distribuzione) e vittima designata del furore moralistico che in Gran Bretagna culminò nella lista dei “video nasties”, Non violentate Jennifer (I Spit on Your Grave) è divenuto suo malgrado sinonimo di stupro al cinema, complici un titolo sensazionalistico (Boris Vian però non c’entra nulla) affibbiatogli dal distributore Jerry Gross e una campagna pubblicitaria all’insegna dello sleaze più trucido. Eppure l’originario Day of the Woman, per quanto brutto, non lasciava adito a dubbi: il film di Meir Zarchi, lungi dall’essere l’ennesima variante del Rape & Revenge Movie, ne è di fatto il contraltare. Le premesse scatenanti sono le stesse viste in L’ultima casa a sinistra di Wes Craven (la lotta di classe, il contrasto socioculturale città/campagna, temi esplorati anche da Un tranquillo week-end di paura di Boorman e Cane di paglia di Peckinpah), ma Zarchi prosciuga la messinscena da ogni segno che possa inquinare la crudezza di quanto accade sullo schermo. Tempi lunghi, camera fissa, niente musica, un cast di semisconosciuti (Camille Keaton aveva recitato in Italia negli anni ’70: è lei la ragazza del titolo, vittima di un aborto clandestino andato male, in Cosa avete fatto a Solange? di Massimo Dallamano): un primitivismo che porge il fianco alle critiche dei puristi (che confondono il contenuto con la forma, il cosa con il come), ma a conti fatti si rivela potentissimo.
La violenza sessuale viene messa in scena con realismo insopportabile, senza mai incoraggiare l’identificazione col “branco”: il blocco centrale del film, in cui la povera Jennifer, in fuga da New York e alla ricerca di un tranquillo posto di campagna ove ultimare il proprio romanzo, viene ripetutamente violentata, sodomizzata, umiliata e lasciata per morta da un quartetto di bruti campagnoli, dura quasi mezz’ora. Il rischio di essere frainteso è forte, specie quando si teorizza il punto di vista dello stupratore: «The thing with you is a thing any man would’ve done… a man gets the message fast whether he’s married or not… a man is just a man.(…) You expose your damn sexy legs, walkin’ back and forth real slow…», dice ad un certo punto uno dei violentatori, il benzinaio sposato e con prole. Ed è questa spietata oggettività nel rappresentare l’istinto predatorio e prevaricatore del maschio, pulsione sepolta da secoli e secoli di civiltà eppure sempre in agguato, che ha reso Non violentate Jennifer ripugnante e sospetto agli occhi di molti: la seconda parte, in cui la Keaton seduce – fingendo di aver goduto del trattamento riservatole – e uccide a uno a uno i colpevoli, in un succedersi di quadretti palesemente sopra le righe, ha fatto il gioco dei detrattori, che a turno accusano Zarchi di utilizzare lo stupro come scusa per il body count che ne consegue (eppure non è affatto un horror) o viceversa di porre la vittima sullo stesso piano dei carnefici.
Uno dei quattro finisce addrittura evirato nella vasca da bagno senza quasi accorgersene: «it was so sweet it was painful» mormora prima di accorgersi della polla di sangue che gli appare tra le gambe. Mentre l’uomo muore, la Keaton ascolta la Manon Lescaut di Puccini: le urla di dolore si mischiano all’aria operistica. Possibile che non se ne sia colta l’ironia? In realtà la vendetta della donna è probabilmente tale solo su un piano fantasmatico. La prima cosa che Jennifer fa dopo essersi riavuta dalla violenza, è mettere insieme il romanzo che il “branco” le aveva fatto a pezzi e sparpagliato in ogni dove, per poi sedersi davanti alla macchina da scrivere con un foglio bianco. Il ribaltamento dei ruoli che ne consegue è la proiezione del suo desiderio di rivalsa, sulla pagina e sullo schermo: una fantasia femminile che blandisce il voyeurismo dello spettatore maschio, per ritorcerglisi contro.