Plan 9 from Outer Space
Due o tre cose che sappiamo sul cinema di Ed Wood. Non solo una nota a pie’ pagina del cinema di serie B.
I fatti sono noti a tutti. Eppure ci si continua ad avvicinare al cinema di Ed Wood Jr. con l’interesse morboso e sadico di quanti godono della sbrigativa etichetta di peggiore regista del mondo appioppata al regista da quanti evidentemente considerano il fare cinema solo all’interno di “misurabili” parametri tecnicistici. Con questo, ovviamente, non si vuole affermare che Wood Jr. fosse, al contrario, un cineasta tecnicamente dotato o formalmente innovativo. Semplicemente che i valori del suo cinema vanno cercati altrove e che Plan 9 from Outer Space, il suo film più famoso – diventato tale perché è facile deriderlo – è estremamente indicativo del perché il suo cinema continuerà a essere una nota a pie’ di pagina della storia maggiore del cinema di serie B. Basterebbe la memorabile introduzione di Criswell, per ammettere di trovarsi al cospetto di un lavoro unico, partorito da una mente che (s)ragionava fuori dagli schemi e che non accettava che banali limitazioni di budget ricattassero la sua visione. Ed Wood Jr. è il supremo ostaggio della bellezza. Ossessionato dalla bellezza, non era in grado di ricrearla, ma la vedeva ovunque al punto di consumare la propria esistenza al servizio di un’ideale che si sarebbe rivelato irraggiungibile.
I film di Ed Wood Jr. vanno dunque letti in controluce come dispacci provenienti da un altro mondo. Alla stregua di affermazioni le quali, sorte dall’arbitrio del desiderio, si affermano come momenti di bellezza involontaria ma non per questo meno irripetibile. Basti pensare alle immagini di Bela Lugosi che esce vestito di nero, indossando un cappellone a falde larghe, alla luce del sole, mentre la voce del narratore ci spiega il tormento della sua anima. In quale altro film, che non sia Viale del tramonto, lo spegnersi delle stelle di Hollywood è colto con altrettanto dolore e mestizia? Certo Wood Jr. non immaginava che l’amico venerato sarebbe scomparso da lì a pochissimo e sperava – contro ogni speranza – che la presenza di Lugosi avrebbe attratto un minimo d’attenzione sul suo film. «The old man left that home, never to return again!». Così afferma stentorea la voce del narratore mentre Lugosi scompare alla sinistra dell’inquadratura. Presagio involontario inserito come monito documentario nel corpo di un film che evoca i “grave robbers”, ossie le iene, i ladri di cadaveri. Ed Wood Jr., umilissimo servitore della morte al lavoro, ci regala il più agghiacciante frammento di una malinconia terminale che nessun cinema può o potrà mai placare. Tanto più autentica perché “involontaria”…
Tutto Plan 9 from Outer Space, dunque, in quanto ipertesto del cinema edwoodiano, vive di queste epifanie minori, tanto laceranti quanto inseparabili dalla cartapesta che avrebbe dovuto evocare un altro mondo. Eppure le inquadrature fisse di Wood Jr. non sono poi tanto diverse da quelle del primo cinema muto o da quelle della Republic o della Monogram. Il problema è che Wood Jr. sembra concepire il cinema solo come una teoria di inquadrature fisse. Come se tra il muto e i monologhi interiori di Robert Z. Leonard sperimentati in Strano interludio non ci fosse altro che uno stacco di montaggio. A causa del plusvalore “cultista” depositatosi su Plan 9 Outer Space e in generale sul cinema di Ed Wood Jr. si fatica a districarsi fra i singoli film. Stephen C. Apostolof, in Dad Made Dirty Movies, documentario a lui dedicato da Jordan Todorov, ancora risentito per come l’onda lunga del biopic di Tim Burton lo aveva espropriato di La notte degli spettri (Night of the Ghouls, 1959), afferma che Wood Jr. non avrebbe saputo dirigere il traffico in un parcheggio nemmeno se ne fosse dipesa la sua stessa vita. Eppure il suo lavoro appartiene al novero delle “shapes of things to come” perché, e Ed Wood Jr. lo sapeva bene…: «Future events such as these will affect you… in the future!».
PAROLA DI ED WOOD
«Bela Lugosi avrebbe dovuto avere un ruolo molto più grande nel film. Quando mi rivelò di avere bisogno di soldi, io avevo già pronta la sceneggiatura. Si trattava solo di ottenere gli 800 dollari per fare il giorno di riprese con lui nel cimitero. Avrebbe dovuto interpretare il marito di Vampira. Il dottore che lo sostituì dopo la sua morte era un chiropratico di nome Thomas R. Mason e aveva la medesima struttura del cranio di Bela Lugosi. Si nota benissimo nella scena quando il vampiro entra nella casa. Bela Jr. vide la scena e mi disse che si trattava di una autentico sosia. Sono stato costretto a uccidere Bela molto prima di quanto avessi pianificato a causa della sua vera morte. Le riprese di Plan 9 from Outer Space sono iniziate poco più di un mese dopo la morte di Bela. Abbiamo girato in un cimitero di Sacramento. Karl, il figlio di Tor Johnson, era tenente di polizia all’epoca. Tutte le macchine della polizia che abbiamo usato le abbiamo potute prendere in prestito grazie a lui. Karl mi disse: “Sai, per quella cosa del cimitero che vuoi fare, qui vicino ne stanno spostando uno a causa di una serie di lavori che devono fare. Credo che sarebbe un posto perfetto per fare delle riprese”.
Anche io ero convinto che fosse un posto ideale, ma ho preferito non sbilanciarmi fintanto che Lugosi non avesse accettato di partecipare al film. Chiamai Lugosi e lui mi disse che aveva bisogno di grano. La sua voce era quasi incomprensibile. Nonostante tutto chiamai Karl e gli dissi che il giorno dopo sarei arrivato con Bela. Gli chiesi anche se potevamo usare casa sua e lui mi disse che non c’erano problemi. Gli diedi 100 dollari per il favore. E così eccoci al cimitero. Un cimitero che risaliva all’Ottocento. Al posto del cimitero avrebbero costruito condomini e grattacieli. Eravamo convinti che avessero spostato i corpi dalla terra, ma non era così. Tutte le lapidi erano state rovesciate. Alcune erano state rotte. Non si potevano avere buone angolazioni per le riprese perché avevano già iniziato a scavare ai margini del cimitero e non ho mai potuto filmare dal lato sinistro. E non potevo nemmeno spostarmi troppo a destra perché lì accanto passava una strada. Così, come si può vedere nel film, mi sono limitato a fare riprese frontali, senza quasi nessuna angolazione. Ho dovuto risistemare le lapidi. Karl mi ha aiutato a trascinare in giro per il cimitero le lapidi. Bela non ha potuto darci una mano, ma l’aveva appoggiata su una lapide in modo da dare l’impressione che ci stesse aiutando. I giornali di San Fernando pensarono che le lapidi del cimitero fossero state manomesse da autentici ladri di tombe. Ridemmo come dei matti per questa cosa.
Nessuno di noi aveva idea di come fosse fatta un’astronave. Tommy Kemp è stato il mio costruttore sul set. Bill Thompson era il mio direttore della fotografia e doveva regolare l’esposimetro a lume di candela. Abbiamo fatto tutto sul set tranne l’aeroplano. Non avevamo una carlinga finta di un aereo perché avevamo finito i soldi. Tutti stavano mettendo mano alle proprie pensioni per non fare affossare il progetto. Abbiamo girato la scena del disco volante quadrato nel giardino di Karl. Mi sono detto: “Tanto non vedremo la parte superiore arrotondata. Quello che vedremo sarà un dirigibile”. Costruimmo un’intera città su un tavolo e usammo corde di pianoforte per sospendere i dischi volanti sopra questa cittadina in miniatura. I dischi volanti erano di legno e li bagnammo con un po’ di gasolio per far vedere che da dietro usciva del fumo. Ma ogni volta che davamo fuoco ai quei cosi, le corde di pianoforte si spezzavano. E ogni volta che cadevano sul tavolo, perdevo tre o quattro casette della mia piccola città». (Queste dichiarazioni di Ed Wood sono tratte da Nightmare of Ecstasy, di Rudolph Grey)