No, il caso è felicemente risolto!
1973
No, il caso è felicemente risolto è un film del 1973, diretto da Vittorio Salerno
Vittorio Salerno è il fratello di Enrico Maria, sceneggiatore e regista di alcuni film che uno spazio nella storia del cinema bis se lo sono ritagliato: Libido, Fango bollente, Notturno con grida, ma soprattutto questo No, il caso è felicemente risolto! apologo sulla fallibilità della giustizia che forse qualcuno dovrebbe segnalare all’attenzione di Pannella e dei radicali. È il Salerno che preferisco per diverse ragioni: intanto per l’aura kafkiana della vicenda, scritta da Augusto Finocchi, nella tradizione delle storie che questo omone che tutti descrivono grande e grosso amava raccontare: una volta mi capitò di leggere un suo soggetto mai realizzato, per Fernando di Leo, che si basava su un povero diavolo perseguitato dalla camorra perché scambiato per un’altra persona; alla fine, il disgraziato veniva condotto davanti al boss che lo guardava esclamando: «Nun è isso!» e lo lasciava ai suoi uomini perché lo ammazzassero. Si intitolava Venerdì nero.
Il film di Salerno tratta anch’esso di un povero diavolo, uno come tanti, Fabio Santamaria (Enzo Cerusico, magnifico) al quale, una domenica pomeriggio, mentre pesca in un laghetto presso Roma ascoltando alla radio Tutto il calcio minuto per minuto, capita di essere testimone del barbaro delitto di una prostituta ammazzata a randellate – scena molto dura, che ti resta scolpita in testa. L’omicida (Riccardo Cucciolla), che Santamaria ha visto e dal quale è stato a sua volta visto, si rivela essere uno stimato professore di matematica che insegna in un liceo bene della Capitale. Per farla breve, Cerusico, che ha moglie (Martine Brochard) e figlia piccola, a causa di comprensibile pavidità non si rivolge alla polizia, come invece fa il professore, che alle forze dell’ordine delinea l’identikit del Santamaria (Fabio Santamaria era il primo titolo del film) come del colpevole del crimine. Il che ha qualche cosa di Hitchcockiano. La morsa della giustizia si chiude, tremenda, attorno a Cerusico, che soccombe e finisce condannato al carcere a vita. Ma – colpo di scena – nell’ultima sequenza la radio dà la notizia del suicidio di Cucciolla, che con una lettera ha scagionato il povero, innocente, Santamaria.
Bene, in origine le cose non andavano così. Salerno racconta – e la versione depositata al Centro sperimentale, ora presente anche nel dvd Camera Obscura, lo testimonia – che il film doveva terminare, dopo il processo che condannava Cerusico, con un dialogo tra il professore e don Peppino, un giornalista napoletano interpretato da Enrico Maria Salerno che, da vecchia volpe della cronaca nera, ha capito che le cose non possono essere andate come sembra. I titoli scorrono sulla camminata di Salerno lungo la strada. Non so dire se sia meglio questa conclusione o quella positiva, con Cerusico che si sbarba in carcere mentre ascolta la notizia della sua imminente liberazione – il finale poi montato che fece incazzare moltissimo Riccardo Cucciolla, il quale aveva accettato il ruolo a patto che la storia finisse male. Resta, comunque, un grandissimo film.