La tecnica del perineo
Cerebrali, self centered al limite dell’incapacità di comunicare, problematici nel rapporto con il sesso. Questo ritratto emerge spesso quando la graphic novel contemporanea si occupa di raccontare la middle class colta nell’ambiente delle professioni che ruotano attorno ai media e alla produzione artistica. Una categoria che si racconta, guardandosi l’ombelico ma con l’onestà di non scriversi addosso: i protagonisti di graphic novel quali La tecnica del perineo sono caratterizzati con un’ironia fine ma brutalmente onesta.
Quel che non funziona, nell’ultimo lavoro di Huppert & Mulot, è altro. La brevità, per esempio. O meglio, il rapporto tra quanto viene raccontato e la durata della storia. Messa così, la narrazione aveva bisogno di più spazio. Pur non succedendo molto in termini di eventi veri e propri, i rapporti tra i personaggi, le loro nevrosi, le loro difficoltà di comunicazione vengono buttate lì senza mai venire approfondite sul serio, sviluppandosi frettolosamente e in maniera un po’ tirata via. Il doppio binario reale-onirico, in questo senso, ha bisogno di uno spazio di manovra che non ha, penalizzando entrambi i momenti nell’impedire di apprezzare pienamente gli sviluppi della storia e il simbolismo dei momenti più surreali.
Il punto di forza di La tecnica del perineo è invece la parte grafica. Il segno sbozzato solo in apparenza ma estremamente vivo e dinamico à la Bastien Vivès, che pure si concede un cameo nel volume, dà al libro un aspetto raffinato e adulto, con caratteristiche da oggetto di design che invogliano a riprenderlo in mano più come si fa con un libro fotografico che con un fumetto. Non male, ma nel complesso non sufficiente.