Diamanti sporchi di sangue
1978
Diamanti sporchi di sangue è un film del 1978, diretto da Fernando di Leo
Dopo il 1977, trascorso senza dirigere film – non era mai accaduto dai tempi di Brucia ragazzo brucia –, Fernando di Leo apre la seconda parte della sua carriera con un noir. Il titolo originale della sceneggiatura è Roma calibro 9 (che poi in lavorazione diventerà Diamanti rossi di sangue e quindi Diamanti sporchi di sangue) e il rapporto con Milano calibro 9 non è soltanto nominale. I plot si somigliano (anche qui un rapinatore, dopo cinque anni passati in galera, entra in conflitto con il suo ex capobanda), le dramatis personae, con modifiche poco sostanziali, sono le stesse (un “duro” protagonista dal sangue freddo e i nervi d’acciaio, il braccio destro del boss feroce e smargiasso, un giovane che tradisce…); e se mai ce ne fosse bisogno, di Leo esplicita il gioco non solo riconvocando Barbara Bouchet ma facendola ballare in un night vestita di un bikini argentato. Eppure il gioco è tutt’altro che tale: né semplice né sterilmente nostalgico: e Diamanti è tutt’altro che un remake (magari in chiave post-moderna) di Milano calibro 9. Di Leo si mantiene sì in rapporto dialettico con il suo antecedente, ma solo per rovesciarne i presupposti e per proporne una versione riveduta e corretta che, autonomamente e non per luce riflessa, rientra nel novero dei suoi noir migliori. Tanto Gastone Moschin si rivelava un dritto, alla fine di Milano calibro 9, ingannando tutti e recuperando i soldi che aveva effettivamente rubato, quanto Guido Mauri (affidato qui alla maschera monodimensionale di Claudio Cassinelli, che però per il ruolo è utile; in prima battuta pare dovesse esserci Franco Gasparri) deve scoprirsi uno stupido per aver scatenato una guerra inutile su un sospetto sbagliato.
Il rapporto chiastico tra i due personaggi si spinge anche oltre: a differenza di Ugo Piazza, che nel momento stesso del trionfo, viene fregato e ammazzato, Guido Mauri, che va incontro, accettandola, alla sua condanna a morte, avrà salva la vita. Come al solito, nei noir di Di Leo, apparenza e destino sono concetti saldamente concatenati e funzione l’uno dell’altra. Se difetti bisogna trovarne, in Diamanti sporchi di sangue, questi sono soprattutto nell’intrigo in cui vengono tirati in ballo la Bouchet (poco rilevata) e il suo giovane amante, con il furto dei diamanti che finisce per diventare un sub-plot dove la tensione si stempera. In compenso il film – che incontrò qualche difficoltà in fase di realizzazione a causa di una legge antiterrorismo, appena varata dal Governo, che impediva l’uso di armi da fuoco sui set cinematografici, tant’è che si fu costretti a rimediare con il ricorso a semplici pistole-giocattolo – ha dei dialoghi strepitosi e il bestiario malavitoso del regista si arricchisce di un personaggio come Pier Paolo Capponi che sembra una sintesi tra Rocco di Milano calibro 9 e Cocchi del Boss, ma ancora più crudele e sardonico (grandi assoli la prima visita a casa di Cassinelli e la crocifissione di Roberto Reale nel garage – sequenza per cui qualcuno ha parlato di Scorsese e che in sceneggiatura si spingeva oltre, fino alla combustione della faccia della vittima).
Prodotto dai fratelli Umberto e Vittorio Russo, Diamanti sporchi di sangue ricompatta il team tecnico abituale di Di Leo, musiche di Bacalov (riutilizzate poi in Virus di Mattei), Roberto Gerardi come direttore della fotografia, Francesco Cuppini scenografo, Amedeo Giomini al montaggio e l’OAC di Gilberto Galimberti a curare le scene d’azione, tra cui una scazzottata in interno, protagonisti Cassinelli e Capponi, di quasi quattro minuti, che entra di diritto tra le più lunghe e tese del genere. Per far parlare del film, l’ufficio stampa di Tonino Pinto inventò un paio di notizie bomba: la fuga d’amore di Barbara Bouchet con il maestro d’armi Gilberto Galimberti (ripresa dalla stampa scandalistica) e il progetto della costruzione sul Tevere nientemeno che di un enorme ponte di cristallo.