La maschera del demonio
1989
La maschera del demonio è un film del 1989, diretto da Lamberto Bava
Durante una gita in montagna sette sciatori (quattro ragazzi e tre ragazze) precipitano in un crepaccio e scoprono i resti congelati di una donna morta diversi secoli prima. La ragazza ha il volto coperto da una maschera di ferro che gli incauti giovani non esitano a togliere, aprendo una nuova voragine nei ghiacci che li conduce fino a uno sperduto villaggio, abitato solo da un prete cieco e dal suo cane. Nottetempo il prete racconta ai giovani della leggenda della strega Anibas condannata al rogo e salvata da una improvvisa nevicata. La stessa strega che ora loro hanno riportato in vita strappandole “la maschera del demonio”. Nelle intenzioni di Lamberto Bava, La maschera del demonio nasceva con l’esplicito intento di omaggiare l’illustre genitore senza nessuna pretesa di sfidarlo sullo stesso campo di battaglia. La volontà è chiara fin dalle prime inquadrature dove l’ottocentesca campagna moldava è sostituita dalle nevi della Svizzera. Pur recitando nei titoli “ispirato al racconto Il Vij di Gogol” e nonostante la presenza come sceneggiatore di Massimo De Rita (assistente sul set di Bava padre), la nuova Maschera prende ampiamente le distanze sia dall’originale che dal racconto che l’ha generato (già molto liberamente rielaborato anche da Mario). Il corpo centrale del racconto è violentemente destrutturato e ricostruito. Qua e là Lamberto si diverte a inserire chiari rimandi al libro che ha un sapore più di citazione che di esplicita ispirazione. Si vedano, ad esempio, Giovanni Guidelli costretto suo malgrado a vegliare il corpo della strega e gli spiriti maligni che si animano dagli arazzi, mentre manca del tutto la figura del Vij che nella prima Maschera del demonio era stato sostituito dal morto vivente Iavutich. Dal film del padre, invece, Bava jr mutua l’idea del doppio, che in Gogol era solo accennato, ma a modo suo e con una “doppia” ambiguità: infatti, se è vero che la strega si reincarna in Deborah Caprioglio che è la predestinata (il nome Anibas non è altro che Sabina – così si chiama la Caprioglio – letto al contrario), nell’antefatto del rogo ci viene mostrata la strega con le fattezze di Eva Grimaldi.
Lo spettatore è quindi tratto in inganno, ma neanche più di tanto, perché il tema centrale della nuova Maschera è la fascinazione del male che subiscono un po’ tutti i personaggi. Fascinazione che si manifesta primariamente, proprio come in Gogol, attraverso il sesso e la lussuria, alla quale l’uomo probo deve resistere. Come nel racconto, Giovanni Guidelli si oppone alle lusinghe del male attraverso un cerchio magico che nell’immaginario baviano diventa un elemento da fantascienza con lampi di luce “alla Valcauda” che non sono certo la cosa migliore della pellicola. Notevoli invece quasi tutti gli altri effetti che per un prodotto nato e pensato per il piccolo schermo non sono nemmeno così blandi (il prete divorato dai diavoli che ricorda il Menelik di Demoni 2). Suggestive anche le scenografie, in parte recuperate dalla cripta di A cena col vampiro, mentre la regia di Bava si dimostra a suo agio con dolly e carrelli che guizzano tra anfratti nascosti nella roccia, chiese sconsacrate e passaggi segreti. Le scelte cromatiche alternano il freddo glaciale del blu e del bianco al calore avvolgente del rosso che rimanda più alle pellicole fantastiche di Argento che non a quelle di Mario Bava. Dove invece La maschera del demonio risulta carente è nella sceneggiatura un po’ troppo sfilacciata e forzatamente inverosimile, soprattutto nel tratteggiare le reazione della compagnia di giovani alle manifestazioni del paranormale.
Manca una rigida coerenza narrativa nel passaggio dal primo al secondo tempo e il film ci perde, soprattutto verso la fine, in termini di ritmo. Ma sono piccolezze rispetto a certe eccessive (e inutilmente partigiane nei confronti dell’originale) reazioni di chi vide il film al Fantafestival, perché La maschera del demonio è un’altra tappa dell’evoluzione cinematografica di Lamberto Bava, che pellicola dopo pellicola perfezionava il suo linguaggio e trovava un proprio gusto finalmente avulso dai retaggi stilistici del padre naturale (Mario Bava) e di quello adottivo (Dario Argento). I motivi della sostanzialmente nulla distribuzione di La maschera del demonio (che avrebbe dovuto intitolarsi anche Sabbah – La maschera del demonio, dal nome della serie che l’ha partorita) rientrano nel novero dei misteri d’Italia, mentre bisogna necessariamente fare un’ultima riflessione sul cast all star della pellicola, che vede l’ultima grande rentrée di Michele Soavi in veste di attore e la presenza di Deborah Caprioglio al suo quasi esordio (Paganini, dell’allora marito Klaus Kinski, era dello stesso anno ma fu girato diversi mesi prima). Completano la comitiva di amici alcuni giovani volti dell’underground del cinema bis di fine anni Ottanta: Mary Seller (Undici giorni, undici notti), Stefano Molinari (Il bosco 1), Ron Williams (ex ragazzo dal kimono d’oro dopo Kim Rossi Stuart) e Alessandra Bonarota (Snack Bar Budapest). Nel ruolo del prete invece un vecchio affezionato di Lamberto, Stanko Molnar (Macabro).