Corrado Farina attraverso lo schermo
Un amico di Nocturno se ne va...
Il titolo Corrado Farina attraverso lo schermo fa riferimento al pezzo che leggerete qui sotto, una presentazione dell’autobiografia di Corrado, che un paio di mesi fa è stato pubblicato su Nocturno. Adesso Corrado non c’è più, ha attraversato – e lo voglio dire senza alcuna retorica – l’ultimo schermo. C’è una scuola di pensiero che sostiene che di là, troviamo quello che desideriamo trovare. Io ci credo. E se è così, sono certo che Corrado si divertirà un sacco a fare cinema.
Le biografie e a maggior ragione le autobiografie sono come il cinema. Le si può strutturare come un lunghissimo piano sequenza che comprenda, quindi, tutto ciò che rientra nell’inquadratura – tutto ciò che è rientrato nella vita –, in un piano generale e onnicomprensivo; oppure si sceglie di raccontarle a stacchi, operando un montaggio hitchockiano che separi l’inutile e il noioso, dall’utile e dall’appassionante. Corrado Farina – al quale oramai mi viene prima da pensare come al collaboratore decennale di Nocturno, columnist con la sua rubrica fissa Sfarinature, che come al regista di … Hanno cambiato faccia e Baba Yaga, ha appena dato alle stampe la sua autobiografia che appartiene decisamente al secondo tipo sopracitato: si intitola Attraverso lo schermo e quando leggerete questo pezzo sarà già apparsa per i tipi del Foglio letterario. Se la definissi una cinebiografia, il neologismo potrebbe suonare enigmatico, ma di fatto Oltre lo schermo è un resoconto dei fatti memorabili della vita di Corrado Farina con al centro il cinema, il cinema visto, fatto, pensato, amato. Gliel’ho chiesto, a Corrado, come mai, abbia incardinato il racconto su questa forza cogente centripeta, il cinema: «Beh, la risposta è già nei quattro participi passati che hai usato. Comunque, la colpa è di Gordiano Lupi: è un piccolo editore che supplisce alla sua ridotta dimensione editoriale con una straordinaria carica di entusiasmo, e caso vuole che questo entusiasmo riguardi soprattutto il cinema. Poco più di un anno fa lo incontro e mi dice: “Perché non scrivi una tua autobiografia?”; “Sei matto? – rispondo – Chiedilo a Indiana Jones. Io non ho mica avuto una vita così avventurosa”; “Intendevo una specie di “autobiografia cinefila”: i film che hai visto, che hai amato, quelli che hai fatto, quelli che non sei riuscito a fare”; “Ma a chi vuoi che interessi una cosa del genere?”; “Prima di tutto a me, e magari anche a qualche altro “deviante”, fissato per il cinema come lo siamo tu ed io”. Ora, tu sai che è pericoloso contraddire i fissati. Può andare a finire male. Così ho preso le mie agende e agendine degli anni passati, i miei quadernetti adolescenziali di critiche cinematografiche, mi sono seduto al computer e ho provato a buttare giù qualche riga. Che poi sono diventate molte di più…”.
Adesso, non è per voler fare a tutti i costi della filosofia, ma è da chiedersi che cosa sia il cinema? Se il cinema è quello che il pubblico di adesso va a vedere nei multiplex e di questo resta contento, il discorso si può anche chiudere qui. Se invece assumiamo che lo spettro di significati che il termine possiede è più ampio, allora bisogna ammettere che la scelta di un’autobiografia cinematografica nel caso di Corrado era – torniamo a quel che dicevamo – una scelta necessitata. Sì, perché le immagini in movimento e la riflessione, il processo creativo che le ha come oggetto, è stato un filo rosso per tutta la vita di Farina, che ha pensato e continua a pensare, immaginare, elaborare, strutturare, ordinare, scrivere come se si trattasse, sempre, di girare un film. «Dovremmo stabilire che cosa si intende per “cinema”. Se con questa parola non indichiamo solo i lungometraggi a soggetto, tutto quello che ho fatto è cinema. È chiaro che avrei voluto fare più film veri e propri che non altre cose, ma quando mi sono voltato a guardare indietro, mi sono accorto che tra tutte le “cose” che ho fatto c’è una continuità di cui non mi ero mai reso conto. In cosa consiste? Mah. Forse nel piacere di raccontare storie con le immagini in movimento, a prescindere dalle circostanze per cui nascevano e dal supporto che usavano. Cosa sono, gli otto millimetri e i caroselli, se non piccoli o piccolissimi film? Cos’è, un documentario industriale come Alfa 75 Superstar, se non un film a episodi? Cosa sono, certi “servizi” Rai realizzati per il TG2, se non “corti” che fanno il verso a Chandler e al suo Philip Marlowe? Cos’è, un film di montaggio come Cento di questi anni, se non una storia in cui Vittorio Gassman racconta il cinema italiano ai più grandi attori del cinema di ogni tempo e Paese, riuniti in un’unica platea? Perfino i miei romanzi sono cinema: spesso nati come soggetti cinematografici, sono comunque concepiti per immagini, atmosfere e sequenze poi tradotte in parole». C’è molto midollo, molta polpa sugosa tra le pagine di Oltre lo schermo che colma una sorta di gap o di buco nero che agli occhi dell’osservatore esterno divideva il periodo del Corrado Farina regista di … Hanno cambiato faccia e Baba Yaga dal Corrado Farina scrittore e romanziere che abbiamo imparato a conoscere in tempi più recenti.
Per deformazione mentale del sottoscritto, è piuttosto ovvio che il racconto di come e perché Un posto al buio, il film che avrebbe dovuto essere il terzo grande lungometraggio di Corrado negli anni Ottanta, non riuscì mai a realizzarsi, abbia reclamato il massimo della mia attenzione. Un cinema torinese in disarmo, un proprietario che lo utilizza ancora, segretamente, per proiettarvi i suoi classici, echi del Fantasma dell’Opera, mystery, delitti, il fascino e la fragranza di un titolo che sarebbe sopravvissuto nel romanzo in cui Farina, poi, col tempo, travasò la sceneggiatura. «Io credo che la storia sarebbe ancora validissima, a patto di lasciarla ambientata all’epoca in cui è stata scritta: in quegli anni Ottanta in cui sembrava che la sala cinematografica avesse i giorni contati, anche se non esistevano ancora i new media né i multiplex. Il cinema Corso di Torino, che all’epoca era ancora un autentico set, spettrale come una cattedrale distrutta da un bombardamento, ora non esiste più e andrebbe ricostruito: ma la miscela fra il nero di Gaston Leroux e il giallo-rosa di Fruttero e Lucentini mi sembra tuttora una strada godibilissima. È una storia che amo molto, al punto che quando mi era stato chiesto di vendere la sceneggiatura avevo rifiutato perché non la potevo concepire diretta da qualcuno che non fossi io. Oggi, forse, potrei anche cederla a qualche collega regista il cui nome mi desse delle garanzie, anche se al momento non saprei proprio dire chi potrebbe essere».
Al netto di tutto il resto, Attraverso lo schermo è anche però un libro di critica e Corrado è un collega temibile, in quanto abilissimo a compendiare l’essenza ultima di un film nel giro di poche e chiarissime frasi – tra parentesi, ma nemmeno tanto, scopriamo anche di chi fu l’idea iniziale, diciamo il germe o quel che oggi di chiamerebbe il concept di ciò che è diventato il celebratissimo Mereghetti. La cosa bella è che Farina non ha miti o dei, quantomeno nel cinema ma credo nemmeno fuori da esso, quindi può permettersi il lusso di dire esattamente ciò che pensa. «È che mi ha sempre dato fastidio il fatto che i miti e gli intoccabili non possano essere toccati. Certi giudizi dei critici sui film di certi autori, da Fellini giù giù fino a Sorrentino, mi fanno pensare alla transumanza delle mandrie verso i pascoli estivi».
Non posso fare a meno di pensare, arrivato in fondo alle trecento e più pagine di Oltre lo schermo che, alla fine dei conti, questa autobiografia avrebbe anche potuto intitolarsi Vita segreta di Corrado Farina (tanto per restare nell’orbita dell’ormai consolidata attività di scrittore di Corrado che lo scorso anno aveva partorito, appunto, una bella e immaginifica Vita segreta di Emilio Salgari per l’editore Daniela Piazza), perché davvero ne viene fuori il ritratto – inaspettato – di un individuo vulcanico nella continua ideazione e realizzazione di qualcosa, un uomo, un artista (non è che ci si debba vergognare a usare certi termini) che non è mai riuscito a stare fermo e che ha riempito la propria esistenza di cose interessanti – lo sono certo quelle di cui possiamo giudicare direttamente, i suoi film, i suoi documentari, i suoi super 8. E accettiamo che lo siano anche quelle di cui veniamo a conoscenza dal racconto di Corrado in Oltre lo schermo. Volevo far tirare all’interessato una linea che concludesse in qualche modo la presentazione di questa suo autobiografia e così gli ho lanciato addosso la fatidica ultima domanda, se cioè, oggi, Corrado Farina pensi a se stesso come uno scrittore o ancora come un regista: «Regista, regista. Ma se vogliamo chiamare le cose con il loro nome dovrei aggiungere: regista frustrato. Frustrato come un bambino a cui hanno rotto il giocattolo. Io so che se domani mattina mi trovassi in un teatro di posa a Cinecittà, o anche solo davanti a una centralina di montaggio con un po’ di materiale di repertorio a disposizione, potrei riprendere a giocare esattamente dal punto in cui ero arrivato, e con lo stesso entusiasmo con cui, più di mezzo secolo fa, ho girato a 8mm Tra un bacio e una pistola. Ma la mia capacità di rapportarmi con i produttori, che non è mai stata granché, sembra ormai giunta in prossimità dello zero. Questo mi amareggia da parecchi anni; ma poi penso che la stessa sorte è toccata a Billy Wilder, che ha passato gli ultimi vent’anni della sua vita a cercare di fare film che nessun produttore era più disposto a fargli fare, e mi rendo conto che così va la vita e che fin troppo bene mi è andata. Come spero che si capisca dalle pagine del mio libro».