Train to Busan
2016
Train to Busan è un film del 2016, diretto da Sang-ho Yeon
Se George Romero faceva assalire i centri commerciali dagli zombi, Sang-ho Yeon li stipa sui vagoni dell’espresso da Seoul a Busan, neanche fossero i pendolari di un regionale in Italia. Originario di Seoul, dove è nato nel 1978, il regista si è imposto come autore di film d’animazione controversi sin dai primi cortometraggi. Il passaggio al lungo avvenne nel 2011 con The King of Pigs, cui seguirono Seonsan (2015) e Seul Station (2016). Quest’ultimo va inteso come il prequel di Train to Busan, suo primo film live action che si fonda su una formula tanto semplice quanto efficace: ibridare lo zombie-movie apocalittico, fondato sulla contaminazione e sull’assedio, con il film ambientato su un treno, sfruttandone la dimensione claustrofobica dei vagoni, il moto perpetuo, secondo una tradizione cinematografica ferroviaria che va da La signora scompare di Hitchcock fino a Snowpiercer di Bong Joon-ho o Shield of Straw di Takeshi Miike: il microcosmo di passeggeri disparati che fanno fronte comune contro un pericolo improvviso; la lotta primigenia per la sopravvivenza in 453 km di rotaie, sfrecciando a tutta velocità e passando tra grandi stazioni moderne; la lotta per non essere infettati, in un contesto escatologico dove si decreta lo stato di emergenza nazionale.
La contaminazione è continua, i buoni soccombono uno a uno per confluire nell’orda dei nemici. Non ci si può più fidare di nessuno. Nella lotta tra il bene e il male tutti possono passare nel secondo. Sullo sfondo, un Paese storicamente spaccato, e che ha conosciuto la legge marziale nonché l’epidemia della Mers, e una società alienata, improntata al rampantismo (incarnato nella figura del protagonista, manager ambizioso che antepone la carriera alla famiglia, in viaggio con la figlia per raggiungere sua madre), con rabbia e tensioni latenti e i mostri che si annidano al suo interno, che Sang-ho Yeon aveva già impietosamente raccontato in The King of Pigs. Pur in un genere, quello di zombi o mostri equivalenti, che non fa parte del bagaglio del cinema orientale, il regista dimostra di conoscerne i meccanismi e ci riporta ai cari vecchi demoni di Lamberto Bava o ai vampiri di Dal tramonto all’alba. E gioca sull’analoga conoscenza di un pubblico di appassionati.
Non si perde quindi in fronzoli per spiegare un contesto, comune a tantissimi film, almeno per chi non abbia visto il suo precedente Seoul Station, di cui Train to Busan rappresenta, come abbiamo detto, il sequel autonomo. Quello che conta, è proprio la sbrigatività di assolvere le formalità narrative. Solo un frettoloso preambolo, con un cervo morto investito che si rialza, in cui si suggerisce una contaminazione forse collegata a problemi di inquinamento. Ma tanto vale sorvolare sulle spiegazioni fantascientifiche, che sarebbero superflue, e far partire le danze macabre, che proseguono per tutto il film con lo stesso reiterato meccanismo.