Ora non ricordo il nome
2016
Ora non ricordo il nome è un docufilm del 2016, diretto da Michele Coppini
Ridotto alla sua forma più facile e semplificata, il carattere (metonimia per caratterista, astratto per concreto) è la faccia. Quel viso, quella prosopopea che ti ricordi prima di qualsiasi altra cosa, che entra a far parte dell’ordine delle cose immortali nella tua memoria. C’è un nome, dietro, ma più spesso non c’è, sfugge, latita, è lì lì per, ma non arriva. Appunto, ora non ricordo il nome, ma quello lì è scolpito dentro di me. Il carattere, con la sua violenta forza d’urto, di impatto, è stato alla base di quasi tutto il cinema degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Anche dopo ma mai più come allora. La cattedrale felliniana, tanto per dire, non si ergerebbe senza quel ricco e anonimo materiale antropologico con cui il genio riminese ha impastato e cementato i laterizi del suo cinema. Da queste e analoghe considerazioni, devono essersi mossi gli autori di Ora non ricordo il nome, documentario o meglio docu-fiction con al centro i due proprietari di una videoteca toscana che hanno in testa di realizzare un film sui caratteristi del cinema italiano e partono quindi a raccogliere una serie di interviste all’uopo.
Michele Coppini è l’artefice del progetto, con la collaborazione di Massimiliano Manna. E Coppini con Stefano Martinelli sono i due videotecari con problemi sentimentali e di sopravvivenza spiccia, che incontrano Paola Tiziana Cruciani (Ferie d’agosto, Tutta la vita davanti), Stefano Ambrogi (Febbre da cavallo, Grande grosso e Verdone, Lo chiamavano Jeeg Robot), Camillo Milli (L’allenatore nel pallone, Habemus Papam), Franco Pistoni (Si può fare, Il racconto dei racconti), Sandro Ghiani (Fracchia la belva umana, Scemo di guerra, Sturmtruppen), Isa Gallinelli (Borotalco, Compagni di scuola), Raffaele Vannoli (Tutti giù per terra, Zora la vampira, Chi nasce tondo), Pietro Fornaciari (Ovosodo, Bagnomaria, 13 a tavola), Sergio Forconi (Berlinguer ti voglio bene, Il ciclone, Zitti e mosca) e Luciano Casaredi (Il cuore grande delle ragazze, Gli amici del bar Margherita). I nomi vi dicono poco o nulla (a parte forse la Gallinelli e Sandro Ghiani)? Come volevasi dimostrare. I caratteristi non vivono della fama nominale ma del loro essere concreto, immanente, sullo schermo, della loro faccia e della loro voce (essendo spesso anche ottimi doppiatori).
Ora non ricordo il nome è divertente e scorrevole, comprese le gag della parte fiction. Certo, siamo cronologicamente in una fascia di interpreti che hanno fatto la loro carriera dagli anni Novanta in poi, eccetto Milli, il già citato Ghiani e Forconi, che hanno avuto un passato curricolare più in profondità nell’era aurea del bis, quella su cui si diffonde Marco Giusti nella sua intervista, ricordando pilastri del caratterismo come Mimmo Poli. Tutte le testimonianze, però, a saperle ben leggere, fanno trapelare il grande rimpianto del caratterista che difficilmente è pago di ciò che è, senza desiderare di poter evolvere dalla propria condizione e di raggiungere un superiore stato di attore. Il carattere, insomma, non sembra essere contento di sé e del suo ruolo nel cinema, ma piuttosto si rassegna ad esso.