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Alien: Covenant

2017
Titolo Originale:
Alien: Covenant
REGIA:
Ridley Scott
CAST:
Michael Fassbender (David / Walter)
Katherine Waterston (Daniels)
Billy Crudup (Christopher Oram)

Il nostro giudizio

Alien: Covenant è un film del 2017, diretto da Ridley Scott

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Ditemi: che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso?…» Adesso, non per voler imitare Gesù Cristo ma verrebbe da chiedere a chi crocifigge (appunto) Alien: Covenant, che cazzo sono andati vedere? Quale film si erano fatti nel cervello sul post Prometheus, su ciò che sarebbe accaduto dopo il decollo dalla Luna LV-223, planetoide mattatoio, dell’astronave semilunata con a bordo la donna e il cyborg, Elizabeth Shaw e David, Noomi Rapace e Michael Fassbender? Attenzione a tutte le recensioni che cominciano esprimendo il concetto che già Prometheus era brutto o non funzionava: buttare via subito senza proseguire, che è tempo perso, le basi sono minate per qualsiasi ulteriore ragionamento. Fermo restando che tra Prometheus e Alien: Covenant non c’è di mezzo il mare ma l’Oceano. Sono film distantissimi. Filosoficamente distanti e ciò che più conta ed è più affascinante, stilisticamente quasi agli antipodi. Scott nel 2012 era classico, geometrico, composto: Prometheus era come il profilo greco dei suoi ambigui Dei-Ingegneri – sucidi per creare il DNA umano e artefici di orribili armi batteriologiche da cui si sarebbero sviluppati i “draghi”. Esseri indecifrabili: molto sapienti, altrettanto spietati.

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Alien: Covenant è, al contrario, barocco, serpentino, attorcigliato, assolutamente non lineare, nel senso che predilige a ogni piè sospinto la curva, l’U turn, la scorciatoia: corre veloce, in primis, poi si blocca, quindi riparte, per nuovamente rallentare prima di dare un’ulteriore accelerata. Due ore che trascorrono tra strattoni di sceneggiatura e continui movimenti sussultori, mioclonie di trama, una specie di riflesso narrativo di ciò che le spore aliene, entrate nel corpo delle vittime per via aerea, causano all’ospite prima di esplodere all’esterno nelle forme che già conosciamo. E in altre nuove: ad esempio l’Ultramorpho, che scacciato dalla porta del primo script di Prometheus rientra in Covenant dalla finestra. E qui va precisato ciò che le nerd-review tacciono, cioè che quando i nuovi nati si estroflettono spruzzano tutt’altro che la merda che qualcuno dice, ma degli ottimi geyser di sangue e budella. Profondo rosso. Per cui, gloria alla nuova carne. Sul massimo sistema della trama, va giusto detto che protagonista è l’equipaggio della Covenant, spedito a colonizzare un pianeta lontano ma che a seguito di una tempesta magnetica viene risvegliato anzitempo dal solito sonno di ghiaccio. A bordo c’è l’androide Walter (Fassbender) che è un David upgradato. E tutti quanti finiscono su una stella vicina, proveniente dalla quale è stato intercettato un segnale che sembra una canzone. Si tratta del Paradiso dove erano atterrati la Shaw e il sintetico. E a cantare – lo scopriremo – è Noomi Rapace.

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Alien: Covenant parla di Creazione, bypassando il mistero degli Ingegneri – ed è giusto: qualunque cosa si fosse detta in più di Prometheus, sarebbe stata banale – e concentrandosi sull’intelligenza artificiale dei due Fassbender, il più vecchio dei quali, David – che è diventato come Dio sul mondo morto e piovoso del paradiso infernale dove atterra la Covenant – ha l’allure demiurgica di un Frankenstein uscito dalla fantasia di Lovecraft, con pose mussoliniane, mani sui fianchi e sguardo che sonda l’invisibile. E Byron e Milton presiedono ai dialoghi. L’enigma dei cyborg ce lo si portava dietro dal primo film, effettivamente, altrettanto quello dei draghi. Covenant prova a dare una soluzione, insieme, all’uno e all’altro, interconnettendoli. Ma senza scendere troppo nei dettagli, senza insistere, senza pedanteria. Ed è giusto così. Stiamo quindi dicendo che Fassbender, versione vecchia e nuova, è il vero protagonista, che la Ripley/Shaw della situazione, Katherine Waterston, viene fuori soprattutto nella seconda parte del film e che il resto (a parte James Franco che si vede sullo schermo meno di 15 secondi d’orologio) è pura funzione della macelleria messicana che si scatena quasi immediatamente, perché Scott, stavolta, parte in quarta a squarciare schiene e sbrindellare pance, lanciandoci diretti in medias res. Un solo consiglio: guardatevi, prima di vedere Alien: Covenant, il corto che funge da trait-d’union tra il nuovo film e Prometheus: Prologue: The Crossing. E poi godete.