L’attentatore
Il genere storico può essere insidioso. Il rapporto tra Storia e Fiction, infatti, vive di equilibri delicati che, se non rispettati, rischiano di creare un’opera troppo sbilanciata da una parte o dall’altra, proponendo al lettore un lungo report storico con una debole narrazione oppure una narrazione in cui la Storia ha un peso trascurabile e, pertanto, vanifica il senso stesso del genere. L’attentatore, di Henrik Rehr, gioca esattamente sul filo del rasoio raccontando da una parte la realtà umana dei personaggi che gravitano attorno a Gavrilo Princip, assassino dell’Arciduca Francesco Ferdinando e della sua consorte, casus belli che diede il via alla Grande Guerra, e dall’altra il periodo storico, terreno fertile in cui le idee del giovane attentatore sono cresciute e polveriera che attendeva solo un pretesto per esplodere con forza dirompente.
L’attentatore getta luce su un episodio storico poco conosciuto nonostante ciò a cui ha dato il via, sforzandosi di sviscerare le personalità, portando alla luce gli esseri umani dietro ai nomi sui libri di Storia, scrivendo un romanzo corale profondamente umano, una storia di grande respiro che parla di vite, di persone e di come i percorsi degli uomini si incrocino, vittime e autori di un angolo poco esplorato della macro narrazione storica. Nella tradizione dei migliori autori completi, il segno grafico di Rehr asseconda la sceneggiatura grazie a un bianco e nero a tecnica mista che varia a seconda dei momenti della narrazione, a sua volta ricca di cambi di ritmo e di registro, con passaggi talvolta profondamente cinematografici e momenti simbolici al limite dell’onirico.
L’attentatore non subisce la Storia come una gabbia ma, al contrario, la usa per creare una narrazione potente e di ampio respiro. Completa il volume una preziosa postfazione a cura di Claudio Magris e Miljenko Jergovic.