Black Butterfly
2017
Black Butterfly è un film del 2017, diretto da Brian Goodman
Non è nemmeno male, questo Black Butterfly di Brian Goodman, remake di una pellicola televisiva prodotta in Francia nel 2008. E non è male perché è un noir campagnolo, abbastanza rustico ma non troppo: ci sono il bosco, il cottage sperduto, lo scrittore povero in canna (Antonio Banderas) che macera nella propria disperazione pur non mancando di corteggiare l’agente immobiliare (Piper Parabo). E poi un serial killer misterioso, sullo sfondo, che fa sparire le donne. Si sente un urlo in lontananza, e puff: chi si è visto si è visto. Un giorno Banderas rischia una scazzottata al bar, ma un giovane vagabondo (Jonathan Rhys Meyers, quello di Match Point) interviene in suo soccorso, e il malinconico scrittore lo ricompensa offrendogli ospitalità. È l’inizio della fine perché, tra una battuta di caccia e una sbornia in compagnia, salta fuori che il giovinastro è un mezzo pazzo: urla, sbraita, prende il fucile e matteggia tenendo in ostaggio Banderas con la sua nuova conquista. Che sia lui il responsabile di tutte quelle ragazze sparite nel nulla?
Il regista è un ex criminale che, scoperta la vocazione cinematografica, ha già diretto l’autobiografico Boston Streets (2008) con Mark Ruffalo ed Ethan Hawke. Qui ci riprova con attori di grosso calibro (c’è persino Abel Ferrara nella parte di un ruvido commerciante di alimentari), e il risultato è a tratti persino piacevole. È vero, l’inizio è moscio come il pisello di un prete, ma il twist finale recupera alla grande, e se riesci a non farti cascare le palle prima degli iniziali tre quarti d’ora, allora sei a buon punto. È come se Goodman avesse pensato al suo film soltanto per quegli ultimi dieci meravigliosi minuti di thriller con agnizione e svelamenti, e il resto fosse attaccato così per far metraggio. Allora è quasi tutto da buttare? Non proprio, perché nella sua mediocrità Black Butterfly riesce a conservare una sua armonia interna, una delicatezza di maniera che lo eleva al limbo delle pellicole da serata di pioggia.
Di sicuro sentiamo la mancanza di sangue, sesso, erotismo: insomma di amore per la settima arte, di sperimentazione, di tensione orgasmica che precede la mattanza. Accontentiamoci di Banderas, del suo maglioncino e le magliette gialle, le gite in fuori strada, il cottage isolato e quelle facce da boscaioli che di tanto in tanto appaiono come per magia a ricordarci che siamo in campagna. Però quella italiana. Infatti tra i produttori c’è pure il giovanissimo Andrea Iervolino: chi è? Quello di Hope Lost (2015) con Michael Madsen e Rupture (2016) con Noomi Rapace.