Manhunt: Unabomber
2017
Manhunt: Unabomber è una serie tv del 2017, ideata da Andrew Sodroski
Se avete amato Zodiac di David Fincher non potrete che adorare la nuova serie prodotta da Discovery Channel, Manhunt: Unabomber. Questo perché il thriller di stampo investigation è un genere molto arduo da spettacolarizzare, specialmente se si decide di raccontare fatti realmente accaduti in maniera analitica: pochi sono, infatti, i criminali veramente esistiti da cui poter trarre una così minuziosa storia di fiction. Ted Kaczynski è forse stato il più inusuale dei serial killer: una mente brillante, con una carriera accademica di grande prospettiva, ma soprattutto un genio capace di inquadrare storicamente e psicologicamente i cambiamenti della società di quel periodo. Ma allo stesso tempo è stato capace di uccidere e mutilare decine di persone spedendo loro pacchi riempiti di esplosivo. La prima stagione di Manhunt ci restituisce un quadro davvero esauriente di questo personaggio, concentrandosi sugli ultimi anni della sua attività criminale fino ad arrivare alla cattura e al processo, dando risalto alla figura del profiler dell’FBI James R. Fitzgerald, ritenuto il vero e proprio artefice dell’arresto di Unabomber.
L’incipit dell’episodio pilota di Manhunt: Unabomber è uno dei più belli nella storia recente della serialità televisiva. Una sequenza in cui la voce di Kaczynski ci invita a riflettere su ciò che per noi è un argomento apparentemente banale: le poste. Seguiamo infatti il lungo tragitto a tappe di un pacco, dalla buca delle lettere fino all’ufficio del destinatario, dove ogni addetto allo smistamento della corrispondenza esegue meccanicamente il proprio compito. Una volta che l’ultimo ingranaggio della catena assolve le sue mansioni, il pacco è pronto per essere aperto ed esplodere in faccia alla malcapitata vittima. Ecco dunque servito in pochi minuti l’antagonista della storia e la sua visione del mondo: la sua debordante invettiva contro il progresso industriale e tecnologico che ha ridotto gli esseri umani a pecore che eseguono ordini senza farsi domande, in maniera automatica. Immediatamente dopo ci viene presentato Jim Fitzgerald (Sam Worthington), l’uomo che ha catturato Unabomber studiandone gli scritti. Il periodo da lui passato come detective dell’FBI ci viene lentamente riproposto attraverso dei flashback, sviluppando contemporaneamente i momenti che lo separano dall’attesissimo confronto in prigione con Kaczynski (un Paul Bettany trasfigurato e magistrale).
Una scelta narrativa intelligente, questa, che a gradi ci fa comprendere la natura di questo dualismo: la specularità tra il poliziotto e il criminale. In “Fitz”, come in Ted, convivono l’acume scientifico e l’inadeguatezza nelle dinamiche relazionali: entrambi sono schiacciati dalla loro insoddisfazione, dall’impossibilità di essere compresi del tutto. La serie procede in maniera logicamente lineare per arrivare infine ai tre episodi conclusivi, ognuno di questi focalizzato su un’unica sotto-trama che completi il puzzle diegetico sviluppato: puntate a sé stanti come la sesta, in cui emergono il passato e il dramma umano di Unabomber, portando lo spettatore a provare nei suoi confronti sentimenti controversi di simpatia, fino a schierarsi addirittura dalla sua parte. La puntata finale invece si apre e si chiude nel trionfo poetico dell’immagine, dall’elicottero che porta via la capanna di Ted, decretandone la sconfitta personale ma anche morale, al semaforo rosso dell’ultima sequenza, simbolo del potere silente ed inibitore che la macchina esercita sull’uomo.