Featured Image

A Ghost Story

2017
Titolo Originale:
A Ghost Story
REGIA:
David Lowery
CAST:
Casey Affleck (C)
Rooney Mara (M)
Will Oldham

Il nostro giudizio

A Ghost Story è un film del 2017, diretto da David Lowery

Il grande merito di aver saputo rivitalizzare un filone classico come quello del ghost movie non è certo da attribuire agli asfittici ectoplasmi barocchi del Crimson Peak di Guillermo del Toro, quanto più alla sensibilità di autori come Oz Perkins e David Robert Mitchell, i quali, attraverso una peculiare estetica a cavallo fra tradizione e innovazione, hanno saputo traghettare il filone verso nuovi affascinanti confini. Ed è proprio dalle rarefatte atmosfere di Io sono la bella creatura che vive in questa casa, piuttosto che alle deambulanti presenze all’orizzonte di It Follows, che David Lowery – reduce dall’obliabile remake Disney de Il drago invisibile – sembra aver attinto per dare corpo e anima a A Ghost Story, ammaliante e bizzarro oggetto filmico destinato a lasciare sconcertati e al contempo affascinati sin dal proprio fortunato esordio al Sundance 2017. Ennesimo colpo vincente della giovane A24, ancor prima di essere una storia di fantasmi – meglio, di un fantasma, nella quale, peraltro, di orrore non ve ne è nemmeno l’ombra –, A Ghost Story si presenta innanzitutto come un ipnotico (melo)dramma dedicato al profondo (e al contempo sempre più relativo) rapporto fra amore e tempo, un racconto di sofferenza durante e oltre la vita capace di unire il cinema filosofico-cerebrale di Richard Linklater alle dilatazioni atmosferiche di Gus Van Sant. Protagonisti di questa piccola grande epopea sono C (Casey Affleck) e M (Rooney Mara), una coppia come tante da poco trasferitasi in una casa di periferia e legata da un complicato ma profondo affetto, il quale s’infrange nel momento in cui l’uomo muore in seguito a un incidente stradale.

dentro 2

 

 

Deciso tuttavia a non “passare oltre”, C ritorna alla propria dimora sotto forma di fantasma in piena regola, con tanto di lenzuolo bianco d’ordinanza e buchi per gli occhi, costretto (come il Buce Willis di Il sesto senso) a osservare impotente la propria compagna tentare di rifarsi una vita, mentre (come la Nicole Kidman di The Others) si trova a dover convivere con i nuovi inquilini/intrusi. Unica fonte di speranza in questo universo in cui il tempo non ha ormai più significato risiede nelle rade chiacchierate a distanza con un altro ectoplasma (la pop star Kesha), abitante dirimpetto, e il disperato tentativo di ritracciare un misterioso messaggio dell’amata che potrebbe finalmente dargli la pace sperata. Al di là della delicata semplicità della trama, gran parte del fascino di A Ghost Story risiede in un ammaliante impianto estetico, nel quale lente panoramiche esplorative e tableaux vivants densi di stasi si alternano a un montaggio sincopato che ben illustra la relatività del tempo che passa inesorabile, il tutto corredato da un insolito formato 4:3 dai bordi arrotondati che comprime lo sguardo all’interno di un universo eminentemente visuale (il buon vecchio “cinema puro” hitchcockiano) dominato dal silenzio, un mondo fatto solo d’immagine nel quale la parola sembra non trovare posto. Una realtà altra dove è permesso anche a due ectoplasmi della porta accanto abbandonarsi a un muto eloquio esistenzialista al quale il pubblico può grottescamente presenziare attraverso i sottotitoli.

dentro 1

 

Se, come afferma Haneke, la sceneggiatura deve essere scarna come un osso al quale sono gli attori a dover ancorare la propria  polpa, allora il lavoro compiuto dalla coppia di protagonisti appare qualcosa di davvero sublime, tanto che non si può non rimanere estasiati dinnanzi a una Rooney Mara intenta a divorare da sola un’intera torta salata durante un ipnotico pianosequenza di oltre dieci minuti, al pari della stupenda performance mascherata e integralmente prossemica di uno straniato Casey Affleck, eguagliata solo dal Michael Fassbender di Frank. Forte di un epilogo fra i più complessi e commoventi che il cinema abbia mai prodotto, A Ghost Story è tutto questo e molto di più, un mondo surreale e ammaliante nel quale mancherebbe soltanto un bel “BOH!” liberatorio.