16 – L’odore della morte
Less is more, talvolta, anche in un’arte del tutto visiva come il fumetto, una forma di narrazione che passa per forza attraverso la componente visuale e che, in tal senso, rischia di risentire di soluzioni spartane che puntano all’essenza lasciando pericolosamente da parte l’apparenza. 16 – L’odore della morte questo rischio se lo prende. Si tratta, tuttavia, di un rischio calcolato, Alex Crippa padroneggia la scrittura e sa perfettamente dove sta andando. Il fumetto esplora il concetto di limite, si chiede fin dove si possa arrivare, specie in un’epoca dove tutto sembra essere concesso a patto di avere sufficiente mancanza di scrupoli per prendersi quel che si vuole.
Il mezzo è una storia dura, un pugno nello stomaco che richiama alla mente pellicole come A Serbian Film e Hostel pur evitando qualsiasi compiacimento o facile deriva para pornografica. 16 – L’odore della morte è secco e spartano, va dritto al sodo e colpisce duro ma senza fare l’occhiolino al lettore nel proporre bassa macelleria a prezzi stracciati. L’occhio dell’autore si scosta un attimo prima, ci fa perfettamente intuire cosa succede pur senza indugiare in particolari clinici e ginecologici che non aggiungerebbero reale valore a un’opera capace di essere scomoda e incisiva senza, come direbbe Raymond Carver, trucchi da quattro soldi.
L’atmosfera ricorda, per certi aspetti, quella di una produzione a basso budget e, di questo, il volume un pochino risente. Il segno grafico si potrebbe migliorare e non di poco, pur restando nella scelta felice di un realismo senza soluzioni espressive atte a caricare emotivamente situazioni che parlano da sole. Il tratto è acerbo e talvolta piatto, indebolisce la sceneggiatura piuttosto che valorizzarla, ma è più una pecca di esecuzione che una lacuna nella scelta della soluzione che, al di là di tutto, si rivela adatta per il testo a cui si associa.