Bright
2017
Bright è un film del 2017, diretto da David Ayer.
Los Angeles, terra di confine ed epicentro di un’interminabile lotta razziale: i bianchi, i neri, i latinos; ma soprattutto gli elfi e gli orchi. In questo mondo, simile ma differente da quello che conosciamo, una strana coppia di poliziotti si ritrova invischiata in una guerra ben più grande di quelle di quartiere con cui è solita avere a che fare. Bright, costosa produzione Netflix pensata per essere il primo tassello di un nuovo franchise, è un buddy movie atipico che riporta alla memoria i film d’azione con protagonisti interrazziali che andavano tanto di moda tra anni Ottanta e Novanta, offrendone una peculiare variazione sul tema. A tentare di bilanciare in maniera convincente action poliziesco e fantasy sono David Ayer (regista) e Max Landis (sceneggiatore), i quali cannibalizzano i più importanti esponenti dei rispettivi generi per realizzare un film che, preso nelle sue singole componenti, è derivativo fino al pedissequo. La sua vera ragione di esistere Bright la trova nella scommessa di far convivere le sue anime come un fatto naturale, risultato portato a casa in modo dignitoso grazie ad alcune semplici ma efficaci intuizioni che creano un background adatto ad accogliere elementi così differenti.
Se quella di Landis è una scrittura che già ai tempi di Chronicle si era dimostrata capace di utilizzare elementi fantastici per esaltare la crescita di personaggi dilaniati da drammi quotidiani, ancora più convincente è la regia di Ayer, certamente più libero di esprimersi di quanto non fosse durante il disastro produttivo di Suicide Squad. In effetti quella del regista sembra quasi una rivalsa nei confronti delle tante scelte assurde che hanno rovinato il cinecomic DC, che avrebbe di sicuro beneficiato di una direzione artistica più vicina a quella di Bright. Massacrato dalla critica americana, che forse più che giudicarlo voleva colpire Netflix nella veste di produttore, si tratta in realtà di un esperimento divertente e riuscito fino a quando rimane sulla superficie delle cose, o quando prende una strada inaspettatamente hard-boiled, vagamente carpenteriana, dove si parla di violenza urbana e corruzione. I grossi limiti del progetto emergono in maniera plateale quando l’elemento fantastico viene trattato oltre il fatto estetico, o comunque quando non è più confinato a componente minoritaria dell’architettura narrativa.
Anche l’aspetto della lotta razziale, nonostante sia una delle tematiche principali, soffre della superficialità con cui è stato concepito l’universo del film: con un’idea di specie che ricalca di peso quella tolkeniana senza offrire un’analoga ricostruzione (pseudo) storica, Bright offre una caratterizzazione di elfi e orchi che per alcuni potrebbe risultare addirittura razzista nell’avvicinarli rispettivamente agli stereotipi del bianco ricco e del nero del ghetto. Il film inciampa in più di un’occasione ma sa rialzarsi e arrivare a destinazione, forse consapevole del fatto che essere capostipite di un franchise completamente nuovo lo rende comunque meritevole di attenzione. Di certo non è il peggior film dell’anno appena passato, come invece ha malignato qualche critico d’oltreoceano.