Tre manifesti a Ebbing, Missouri
2017
Tre manifesti a Ebbing, Missouri è un film del 2017, diretto da Martin McDonagh
La storia di una donna, Mildred Hayes, madre divorziata e commessa in un negozietto di gingilli (la insuperabile Francis McDormand, unico volto possibile e immaginabile per incarnare la straordinarietà di un personaggio femminile solo apparentemente molto ordinario), che ha bisogno di essere ascoltata per far conoscere e portare all’attenzione dei media e della cittadinanza il caso della figlia adolescente Angela (Kathryn Newton, già adolescente ribelle nella pluripremiata miniserie Tv Big Little Lies), violentata e uccisa in maniera orribile meno di un anno prima. Un film generato in epoca pre-Weinstein e che con il tempo – neanche tanto – trascorso dalla sua realizzazione, ha acquistato un significato nuovo. I tre manifesti del titolo, infatti, non sono simbolici, non sono un segno, ma esistono concretamente e pongono domande scottanti, con tanto di punto interrogativo, alle autorità e alla popolazione di Ebbing, piccola città del Missouri i cui abitanti sembrano poco inclini alla collaborazione e molto veloci nel formulare giudizi basati sulle apparenze. È cambiata tanto la società nel mondo da quando è stato girato questo film che arriva al momento giusto e che, al di là, forse, di ogni più rosea aspettativa, va a rappresentare, con la storia narrata attraverso una sceneggiatura mai scontata e piena di ritmo, dotata di un robusto sviluppo centrale, una nuova campagna, che si aggiunge a quella di #metoo, per dar voce alle donne che hanno bisogno di essere ascoltate.
È una voce arrabbiata, quella di Mildred, e la rabbia sarà il motore di tutta la vicenda, quasi a dimostrare che solo attraverso essa è possibile smuovere le acque in una società, quella della provincia americana, anestetizzata dall’indifferenza o, all’occorrenza, dalla falsa indignazione, e dove la discriminazione verso i neri e i diversi è un argomento per niente archiviato. I manifesti che la protagonista, folgorata nella prima scena del film dalla visione di tabelloni pubblicitari malridotti e dismessi che si trovano alle porte del paese, ordina di realizzare alla locale agenzia pubblicitaria, pagandoli con i suoi preziosi risparmi, sono proprio un modo per dare sfogo a questa rabbia attraverso le domande in essi poste e che ogni automobilista della cittadinanza passando potrà leggere. Inutile dire che l’impatto che essi hanno sulle autorità è molto negativo: polizia, chiesa e pubblica opinione non condividono l’iniziativa della donna, considerata poco degna di attenzione e forse, data la sua vita non priva di ombre, lei stessa preda di sensi di colpa verso la figlia a causa del loro rapporto conflittuale. In particolare, lo sceriffo Willoughby (un maturo e convincente Woody Harrelson), è direttamente chiamato in causa in uno dei manifesti, accusato di aver fatto poco e nulla per le indagini, pur avendo a disposizione il DNA dell’omicida. Tra lo sceriffo e Mildred si instaura un rapporto basato su onestà e fiducia, a dispetto degli apparenti scontri iniziali, e ai tre manifesti di Mildred lui risponderà , anche se indirettamente, con tre lettere che invierà, in un contesto drammatico, ai tre personaggi cui affiderà le indagini: sua moglie, la stessa Mildred e l’agente Jason Dixon (Sam Rockwell, semplicemente bravissimo nella sua capacità di spaziare tra gli stati d’animo) suo sottoposto e simbolo di un certo tipo di poliziotto americano, razzista, esaltato e pronto alla violenza gratuita.
Dixon, in realtà, ha una storia difficile alle spalle e nel corso della vicenda il suo personaggio mostrerà un’evoluzione tanto credibile quanto miracolosa che lo renderà, attraverso una serie di avvenimenti di grave drammaticità, passando anche attraverso la ricaduta del sospetto su di lui, da peggior nemico e accusatore di Mildred a suo fedele alleato e sostenitore. Non è un film sulla ricerca del colpevole, Tre manifesti a Ebbing, Missouri: la missione di questa commedia nera, in cui si riesce a ridere tra le lacrime del dramma e dell’amarezza, è molto più importante e riguarda l’attenzione e il ricordo nei confronti di donne che hanno subito abusi. In questo caso, essendo la vittima morta, sarà la madre a dar voce, a volte con metodi anche molto poco ortodossi, alla tragedia toccatale: in una delle ultime scene, quando Mildred si prende cura dei fiori che ornano il campo dove sono affissi i tre manifesti, diventato quasi un luogo di culto, appare un tenerissimo daino e la donna, per un attimo, sorridendo, pensa a una possibile reincarnazione della sua Angela nel mite animale. Non che lei ci creda davvero, ma in quel momento la protagonista realizza quanto sia stata importante la sua opera di denuncia, che è riuscita a portare dalla sua parte anche chi, come Dixon, inizialmente l’aveva ostacolata in tutti i modi. E vedere nel finale i due che insieme partono per un viaggio in Idaho, alla ricerca, forse, del colpevole, ci dà la dimensione di quanto la denuncia sia stata importante, anche se scomoda e faticosa: e i manifesti da concreti si trasformano in un simbolo, una nuova e significativa iniziativa dalla parte delle donne che hanno deciso di non tacere. Un film da vedere.