La fine della ragione
A prescindere dal giudizio che si possa dare di un’opera, piaccia o meno, riuscita o meno, il paraculismo che l’accompagna è un discorso legato maggiormente alle circostanze che alla qualità. Il paraculismo è mettere le motivazioni commerciali smaccatamente davanti al prodotto in sé, facendo palesemente finta di niente. Un po’ come Feltrinelli che, volendo seguire a ruota Mondadori sul carro vincente dell’editoria a fumetti, confeziona un prodotto paraculo che più paraculo non ce n’è. Partiamo dall’autore scelto per lanciare la collana. Roberto Recchioni. Piaccia o meno, fa rumore. A prescindere da eventuali meriti, parliamo di un personaggio che genera hype soltanto respirando, un protagonista del fumetto italiano tanto per le pubblicazioni quanto per gli interminabili flame sul web. A gettare benzina sul fuoco, l’argomento. Alla ricerca di un’attualità più sul pezzo che mai, La fine della ragione tratta, guardandoli attraverso la lente distorcente della distopia, argomenti quali le fake news, il dibattito sui vaccini, il populismo di matrice grillina e quanto in generale si possa ascrivere a un pericoloso degrado delle capacità cognitive collettive che sembra affliggere il nostro Paese oggi.
Posizioni magari condivisibili, argomenti senza dubbio attuali, ma il sospetto che ci sia sotto un pelino di paraculismo, nel contesto dell’operazione presa nella sua interezza, diciamo che ci sta. Infine, le soluzioni narrative e il formato. Un ibrido tra fumetto e prosa che schiaccia l’occhio al pubblico Feltrinelli magari non così addentro nel fumetto ma curioso di provarlo in quel formato tanto familiare, una scelta conservativa che sembra voler tenere il piede in due scarpe, catturare gli appassionati senza sbilanciarsi al punto da prendersi dei rischi.
Il risultato è pessimo. Quella che vorrebbe essere una forte sintesi altro non è che una scrittura tirata via, svogliata, un’opera di cucito grossolano su una serie di momenti statici in sequenza, quasi del tutto privi di una reale fluidità narrativa: personaggi tagliati con l’accetta, privi di costruzione, sotto il cui strato superficiale e più banalmente simbolico si trova davvero poco. L’approfondimento tematico non va oltre il dar di gomito, il quanto-sono-stronzi-a-non-capire, ragionamento contratto e privo di analisi. Quanto all’aspetto grafico, l’opera è banale, non dice nulla, il tratto è genericamente autoriale e volutamente dimesso quasi a ricercare un aspetto pseudo colto che riesce a essere, tuttavia, solamente piatto. Provaci ancora Feltrinelli, ma anche no.